Come azionare l’albero a camme in testa? Catena, cascata oppure alberello con due coppie di ingranaggi conici
Diverse soluzioni tecniche si sono ormai da tempo standardizzate, lo abbiamo ripetuto spesso. Per esempio, per i motori di potenza specifica più elevata sono da tempo d’obbligo il raffreddamento ad acqua e la distribuzione bialbero. Perché potesse avvenire questa selezione tra i vari schemi costruttivi possibili c’è voluto un tempo che in certi casi è stato considerevole. Altre soluzioni si sono imposte rapidamente ma poi hanno dovuto subire un graduale lavoro di affinamento.
È il caso delle teste con camera di combustione a tetto e quattro valvole, nelle quali l’angolo tra queste ultime è via via diminuito, fino ad arrivare ai valori odierni (sui quali è fermo ormai da una trentina d’anni). Diamo quindi un’occhiata a come si sono affermate ed evolute alcune di queste soluzioni.
I dilemmi degli alberi a gomiti | Officina
Quando si iniziarono a impiegare le distribuzioni con albero a camme in testa, i tecnici dovettero decidere come azionarli. Apparve subito chiaro come si potesse scegliere tra tre possibili sistemi: a catena, a cascata di ingranaggi e ad alberello con due coppie di ingranaggi conici.
Ognuno aveva i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Tutti e tre comunque erano in grado di svolgere bene il loro compito. Il comando a catena ben presto si è rivelato meno adatto degli altri a essere impiegato sui motori da competizione. Era infatti meno rigoroso (per via delle oscillazioni della catena stessa e dell’allungamento causato dall’usura a livello delle articolazioni) e risentiva della forza centrifuga. Realizzare sistemi di tensionamento efficaci e affidabili non è stato facile. Le cascate di ingranaggi erano eccellenti ma costose: richiedevano lavorazioni molto accurate ed erano quasi sempre fonte di una non trascurabile rumorosità meccanica (soltanto gli ingranaggi elastici avrebbero reso possibile un funzionamento silenzioso ma sarebbero apparsi molto tempo dopo).
Il fatto è che il gioco tra i denti degli ingranaggi, corretto a temperatura ambiente, aumentava notevolmente a caldo. A causa della dilatazione termica delle pareti dell’alloggiamento in cui erano piazzati, cresceva infatti la distanza tra i cuscinetti sui quali erano montati i loro assi. Un lieve gioco era comunque vantaggioso anche perché consentiva di non risentire di eventuali lievi errori di allineamento (non penserete mica che la dilatazione in alto, ossia a livello della testa, sia proprio uguale a quella in basso?). La soluzione si è subito rivelata eccellente per i motori da corsa. Nella produzione di serie, vanno ricordate soltanto (o quasi) le splendide Benelli monocilindriche d’anteguerra, le poche quadricilindriche MV Agusta stradali e le formidabili Honda della serie VFR.
Nei motori monocilindrici, che fino a pochi anni fa erano tutti raffreddati ad aria, è sorto il problema dell’alloggiamento della catena o della cascata di ingranaggi. Poteva essere integrale con il cilindro e la testa, ossia essere ricavato nelle loro stesse fusioni? E doveva esserci un passaggio per l’aria tra esso e tali componenti? Con il tempo ha prevalso lo schema che non lo prevedeva. Un’alettatura asimmetrica (meno sviluppata dal lato del passaggio catena o ingranaggi) non è mai una cosa buona. Per evitare deformazioni a caldo della canna sono stati adottati elevati spessori di parete. Da un certo punto in poi, grazie all’uso di leghe di alluminio dall’elevata conduttività termica e a un miglioramento del disegno, i problemi legati a questa soluzione sono stati eliminati.
In passato l’alloggiamento della catena o della cascata di ingranaggi è stato talvolta ricavato in una cartella separata, che veniva poi fissata per mezzo di viti alla testa, al cilindro e al basamento (o al suo coperchio laterale, con il quale era in diversi casi integrale). Poiché vi era un passaggio aria tra la parete laterale del cilindro e tale cartella, quest’ultima per forza di cose tendeva a lavorare a una temperatura inferiore e quindi a dilatarsi in misura minore (con conseguente creazione di tensioni). Con il raffreddamento ad acqua e il vano per la catena (o gli ingranaggi) integrale, da tempo tutto questo appartiene al passato.
I comandi ad alberello e coppie coniche ebbero notevole diffusione fino agli anni Cinquanta, sia sui motori da competizione (basta ricordare il loro impiego da parte di Case come Bianchi, Norton, Mondial, NSU e BMW) che su quelli di serie. In seguito, sono diventati praticamente esclusiva della Ducati, che sui modelli di serie li ha adottati addirittura fino a metà anni Ottanta. I principali problemi in questo caso erano il costo elevato (per la grande precisione necessaria nelle impegnative lavorazioni e la complessità dell’assemblaggio) e la difficoltà di silenziamento.
La dilatazione in senso verticale fa aumentare la distanza tra l’albero a gomiti e quello a camme. Inoltre la testa, ove è installata la coppia conica superiore, si dilata anche in senso trasversale. L’alberello doveva quindi essere in due pezzi, uniti con un giunto adatto. La Norton ha fatto a lungo ricorso a un giunto Oldham, che consente leggeri allontanamenti dal parallelismo tra le due parti dell’alberello, oltre a una variazione della loro distanza in senso verticale. Nelle ultime Manx è però passata a un accoppiamento scanalato, soluzione preferita dai costruttori tedeschi.
La Ducati ha utilizzato invece un giunto a baionetta, con l’estremità dell’alberello ove si trova l’ingranaggio conico superiore inserita in un cuscinetto a sfere orientabile. È interessante ricordare che nelle sue monocilindriche da corsa degli anni Cinquanta la Ducati impiegava alberelli con differenti diametri (da 11 a 15 millimetri), che venivano scelti a seconda dei circuiti. Quelli con diametro minore torcevano maggiormente durante il funzionamento in gara e ciò determinava una variazione nella fasatura di distribuzione! Nel presente il sistema ad alberello e coppie coniche è impiegato soltanto su un bicilindrico Kawasaki.
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