Si tratta di quelle di trazione o di compressione create da differenze di temperatura tra zone vicine
Quando si parla di sollecitazioni termiche tipicamente si pensa alla testa, alle valvole, ai pistoni e talvolta anche ai dischi dei freni. Non si deve però credere che esse siano legate soltanto alle massime temperature che vengono raggiunte. Inevitabilmente, infatti, il riscaldamento dei vari componenti non è uniforme. In altre parole, le temperature non sono distribuite in maniera omogenea nella struttura. Variano da punto a punto e talvolta anche in misura notevole. Uno degli obiettivi dei progettisti è proprio quello di ridurre per quanto possibile queste differenze. Per raggiungerlo è vantaggioso impiegare materiali con elevata conduttività termica, adottare sezioni considerevoli e curare attentamente il sistema di raffreddamento, onde fare passare il fluido refrigerante in quantità considerevole proprio nelle zone più critiche dal punto di vista termico.
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Le sollecitazioni termiche alle quali si fa usualmente riferimento sono quelle di trazione e/o di compressione create appunto da differenze di temperatura cospicue tra zone molto vicine una all’altra in uno stesso componente o tra due organi a contatto. È chiaro che la zona più calda tenderà a dilatarsi in misura maggiore di quella a temperatura più bassa, che di conseguenza la ostacolerà in tale suo tentativo di espansione.
Se la sollecitazione così generata è cospicua (per via della distanza molto ridotta e della differenza di temperatura molto considerevole) si possono avere distorsioni o addirittura formazione di crepe. I punti più critici sotto questo aspetto sono quello tra le sedi delle valvole e quello tra di esse e il foro per la candela. In alcuni motori raffreddati ad aria del passato, data anche la ridotta quantità di materiale attorno agli alloggiamenti degli anelli-sede, la formazione di crepe in tali zone talvolta era tutt’altro che sconosciuta. È anche per questa ragione che diversi costruttori hanno fatto ricorso a calotte, che in genere venivano incorporate all’atto della fusione (ma non sono mancati esempi di montaggio con interferenza), nelle quali erano ricavate le pareti della camera di combustione, le parti terminali dei condotti e le superfici di tenuta, ovvero di appoggio, delle valvole. Il materiale impiegato era la ghisa (o talvolta l’acciaio) nei motori di serie di maggiore diffusione. In quelli più spinti però si utilizzava il bronzo, che aveva una conduttività termica più elevata e un coefficiente di dilatazione termica superiore.
Nei suoi ultimi motori da competizione la MV Agusta impiegava lo Xantal B, lega di rame contenente l’11% di alluminio e il 4% sia di nichel che di ferro. Proprio per migliorare l’asportazione di calore nella zona tra le sedi di scarico, senza dover fare ricorso al raffreddamento ad acqua, la BMW per i suoi bicilindrici boxer a quattro valvole con un albero a camme in ogni testa ha a suo tempo fatto ricorso alla refrigerazione mista aria-olio, con quest’ultimo che veniva fatto passare in quantità cospicua in tale punto critico. In questi motori l’aria asportava il 78% del calore ceduto dai gas alle pareti metalliche e l’olio il 22%.
Inseguito però le superiori prestazioni dei nuovi motori bialbero della casa bavarese hanno reso inevitabile il passaggio a un sistema aria-acqua. Nel circuito di raffreddamento l’acqua (che in questo caso sottrae il 35% del calore assorbito dalle pareti metalliche) viene fatta passare, con considerevole velocità, in canalizzazioni praticate tra le sedi delle valvole e attorno al foro per la candela, oltre che in un vano circonferenziale più grande. Un bell’esempio di raffreddamento “di precisione”! Per ridurre la temperatura delle valvole e delle circostanti pareti della camera qualche anno fa la Honda ha impiegato una soluzione che da un lato ha consentito di migliorare l’asportazione di calore per conduzione e dall’altro ha permesso di avvicinare il vano di passaggio dell’acqua alla zona in questione. Ha infatti eliminato gli anelli-sede riportati, per “serrare” convenientemente i quali occorre una considerevole quantità di materiale attorno agli alloggiamenti e, per ottenere adeguate caratteristiche meccaniche nella zona di tenuta delle valvole, ha fatto ricorso al sofisticato processo detto laser cladding.
Nel caso specifico questa tecnologia viene impiegata per deporre un sottile strato di materiale e al tempo stesso modificare localmente la composizione del substrato (cioè della lega di alluminio della testa). Il procedimento abbina quindi una deposizione con una alligazione. Grazie a questa soluzione, nei motori di Formula Uno aspirati della casa giapponese dei primi anni Duemila è stato possibile montare valvole di 1 mm più grandi e portare il vano di passaggio dell’acqua più vicino alla zona critica, cosa che ha permesso di ridurre la temperatura sia delle valvole che delle zone di tenuta e delle pareti della camera in loro prossimità. Pure altre case, tra le quali la Fiat, hanno fatto studi e sperimentazioni in questa direzione a partire dagli anni Ottanta.
Nei motori a due tempi la maggior parte del calore ceduto dai gas alle pareti metalliche viene assorbito da quelle del cilindro, che è quindi l’organo più sollecitato dal punto di vista termico. In particolare, risultano critiche la zona della luce di scarico e le pareti ad esse adiacenti e addirittura infernale è la vita per il traversino che in molti casi divide in due parti tale luce. Non per nulla spesso la sua estremità rivolta verso l’interno del cilindro risulta leggermente “arretrato” rispetto alla parete della canna. Durante il funzionamento del motore infatti esso tende a “gonfiarsi” espandendosi in lieve misura proprio verso l’interno del cilindro. Nei 2T da competizione raffreddati ad aria la distorsione del cilindro a caldo è stata a lungo un serio problema, al punto che il passaggio al raffreddamento ad acqua è ben presto diventato indispensabile, sia per poter aumentare ulteriormente le prestazioni che per rendere costante la potenza erogata per l’intera durata della gara.
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