Diede il via all’era delle quadricilindriche, ma anche a quelle degli avviamenti elettrici efficienti e dei freni a disco a comando idraulico
Honda CB 750, il debutto in gara
Il debutto in una gara di importanza internazionale avvenne, inaspettatamente, al Bol d’Or che si corse a Montlhéry nel settembre del 1969. Alla gara furono iscritte, non in forma ufficiale bensì attraverso l’importatrice francese Japauto, tre Honda 750. Quella di punta era affidata alla coppia Rougerie-Urdich, che vinse senza problemi. Questa moto aveva il motore praticamente di serie ed era stata dotata di quattro scarichi a tromboncino e di un “kit racing” costituito da sella monoposto, serbatoio e carenatura. Funzionò impeccabilmente per tutta la gara. La Honda si era ritirata dall’attività agonistica al termine della stagione 1968. Per il 1970 fece uno strappo alla regola e schierò alcune moto ufficiali alla prestigiosa 200 Miglia di Daytona. La corsa fu in pratica una gara a eliminazione con le velocissime BSA/Triumph tricilindriche che ebbero problemi di surriscaldamento e le Honda che si ritirarono una dopo l’altra. A eccezione di quella del veterano Dick Mann, che arrivò al traguardo con soltanto pochi secondi di vantaggio e con il motore che stava per rendere l’anima. Una vittoria agevolata da un pizzico di fortuna e molto di misura ma che comunque ebbe vasta eco.
Sulla pista americana la Honda sarebbe tornata a vincere soltanto molti, molti anni dopo – nel 1985 con Freddie Spencer – e con una moto completamente diversa. Della Daytona la Casa costruì pochissimi esemplari (pare sei ma c’è chi parla di nove-dieci). Per i piloti privati sviluppò una serie di parti speciali in modo da trasformare una moto stradale di serie nella Senior. In Italia l’importatore ne fece arrivare alcune che affidò a concessionari e a un paio di team selezionati. Tuttavia alla 200 Miglia di Imola del 1972 non brillarono certo…
In seguito le Honda 750 furono impiegate da diversi piloti, spesso con forte appoggio degli importatori. In Italia, nelle gare per le derivate di serie non ottennero risultati di particolare rilievo. Preparatori ce n’erano e in quanto a parti speciali, non mancavano, anche grazie al mitico Pop Yoshimura. Tuttavia Triumph, Laverda e Guzzi avevano tutto sommato qualcosa in più.
Ben presto i concessionari, come la famosa Samoto, e i preparatori che lavoravano sulle Honda giustamente concentrarono le loro attenzioni sulla 500. Le 750 hanno continuato a essere grandi protagoniste nell’Endurance, specialità molto popolare e seguita in Francia. Proprio la Japauto si impose nel Bol d’Or del 1972 e 1973 con moto derivate dalla CB 750 ma con una cilindrata ben superiore ai 900 cm³. Poi però arrivò la Kawasaki e dominò la corsa francese per i due anni successivi.
Per tornare a vincere, alla Honda occorreva una moto con motore profondamente riveduto nei principali componenti, a cominciare dalla testa e dagli organi della distribuzione. Verso la fine del 1975 venne fondata la HERT (Honda Endurance Racing Team) con il varo di un programma per realizzare la nuova moto, che debuttò nell’aprile successivo rivelandosi subito formidabile. Della CB 750 non rimanevano che lo schema costruttivo generale e la disposizione degli organi meccanici, eccezion fatta per quelli della distribuzione. La nuova testata alloggiava quattro valvole per cilindro, comandate da due alberi a camme che agivano su punterie a bicchiere e che venivano mossi da tre ingranaggi azionati da una catena duplex. Le valvole di aspirazione erano da 28 mm e quelle di scarico da 24. Una soluzione importante, che si distaccava completamente da quella originale, era costituita dalla trasmissione primaria, divenuta a terna di ingranaggi e non più affidata a due catene a rulli. L’albero a gomiti era ricavato dal pieno e il blocco cilindri era costituito da una nuova fusione.
Le pompe dell’olio erano state maggiorate e il circuito venne dotato di un radiatore abbondantemente dimensionato. Nella versione che trionfò nel campionato Endurance del 1976 vincendo tutte le gare, la RCB 1000 (nota anche come RCB 941) aveva un alesaggio di 68 mm e una corsa di 64,8, per una cilindrata di 941 cm³. La potenza veniva indicata in 115 CV a 9500 giri/min. La velocità media del pistone era 20,5 metri al secondo, la potenza specifica 122 CV/litro e la pressione media effettiva 11,4 bar. Di questa moto pare siano stati costruiti sei esemplari (qualcuno parla di “una decina scarsa”). La RCB 1000 vinse a mani basse anche il campionato successivo, ma poi arrivarono le formidabili Kawasaki in nuova versione e la musica cambiò.
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