Tecnica: MV Agusta 500, la fine dell'Impero

Tecnica: MV Agusta 500, la fine dell'Impero

Parliamo dell'ultima 500 4T che ha battuto le 2T giapponesi, con Read nel 1974. Al tempo era all'avanguardia con i suoi 200 CV/litro, ottenuti con il suo raffreddamento ad aria

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15.02.2022 ( Aggiornata il 15.02.2022 21:35 )

Tecnologia avanzata per battere i giapponesi


Per opporsi ai semplici e leggeri 2T, la cui potenza cresceva di anno in anno, i motori a quattro tempi sono diventati sempre più complessi e raffinati (e anche più costosi…). Per le sue moto da corsa la MV Agusta poteva avvalersi di tecnologie aeronautiche e utilizzare materiali, trattamenti e processi di fabbricazione estremamente avanzati. Questo, unitamente al ricorso a un disegno sempre più evoluto, ha consentito di arrivare dove nessun altro quattro tempi era mai giunto ma è stato sufficiente soltanto per poco. Nel 1975, con il titolo Yamaha firmato da Giacomo Agostini, è iniziata l’era dei due tempi anche nella classe regina. L’ultima MV Agusta 500 aveva un motore a quattro cilindri in linea con un alesaggio di 58 mm e una corsa di 47,2 mm e veniva alimentato da quattro carburatori da 32 mm Ø.

In alcuni esemplari sono state adottate misure leggermente differenti (57 x 49 mm). Il rapporto di compressione era 11,2:1 e la potenza, nella versione più evoluta, è arrivata a 104 CV a un regime di circa 14.700 giri/min. La velocità media dei pistoni era dunque 23,1 m/s e la pressione media effettiva 12,5 bar, entrambi valori considerevoli per l’epoca. La testa è stata oggetto di più rivisitazioni. Le modifiche hanno riguardato in particolare l’angolo tra le valvole, ridotto dagli iniziali 45° ai 35° dell’ultima versione. Ciò ha consentito di ottenere camere di combustione più compatte, a vantaggio del rendimento termico. Ciascuna delle due valvole di aspirazione di ogni cilindro aveva un diametro di 21,5 mm; l’alzata era di 7,5 mm. Le due valvole di scarico erano da 19,5 mm Ø. Gli steli erano da 4,2 mm. Gli eccentrici dei due alberi a camme agivano su punterie a bicchiere del diametro di 20 o di 22 mm, a seconda delle versioni.

Non venivano impiegate sedi valvola riportate; si utilizzavano invece calotte in bronzo speciale (una lega rame-alluminio con cospicue percentuali di ferro e nickel) nelle quali erano ricavate le pareti delle camere di combustione, le parti terminali dei condotti, i fori per le candele e le superfici troncoconiche di appoggio delle valvole. Tali calotte non erano incorporate di fusione (come quelle dei motori Honda) ma venivano inserite nella testa con interferenza. Ciò consentiva di sostituirle in caso di necessità.

Non tutte le teste erano eguali e se in una di quelle “buone” avveniva un cedimento che portava al danneggiamento della calotta di un cilindro, bastava sostituirla e la testa stessa poteva essere riutilizzata. A comandare i due alberi a camme, alloggiati in apposite “scatole” (camboxes) imbullonate superiormente alla testa, provvedeva una cascata di ingranaggi collocata centralmente.

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