"Guidare il Mondiale, dopo i due podi in Qatar, mi ha fatto comprendere che ci sono tutte le condizioni per concretizzare il desiderio più grande: io, la moto e il team siamo in grado di puntare al titolo", ci ha raccontato il francese in esclusiva
Dal timore di uscire dalla MotoGP al vertice della stessa categoria in poco più di un anno e mezzo: con Johann Zarco non ci si annoia mai. La paura di perdere la top class, il francese l’ha provata nel 2019, dopo la rottura con la KTM con largo anticipo sulla scadenza del contratto da pilota ufficiale. Zarco ha dovuto cercare alternative, diventando il manager di se stesso, e quando Paolo Ciabatti e Gigi Dall’Igna hanno bussato alla sua porta, mostrandogli fiducia, lui ha colto la palla al balzo.
Rilanciatosi con la Ducati-Avintia nel 2020, il trentenne si è esaltato subito con il Team Pramac, con due secondi posti e la leadership provvisoria del Mondiale 2021 dopo il Qatar. E la scivolata di Portimao causata da noie al cambio quando era in zona podio, non ha cambiato la sostanza. Il francese è tornato.
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Te l’aspettavi un inizio di stagione così positivo?
“È stata una sorpresa. Il sogno è giocarsi il titolo, ed essere costantemente tra i primi cinque poteva essere un buon avvio, ma sono arrivati subito due podi. La morale dei risultati ottenuti finora è che io, il team e la moto siamo pronti per lottare per i podi e per vincere. Desideravo iniziare proprio come Jack Miller aveva finito l’anno scorso, al suo livello di guida: è stato positivo farlo subito, e se il Qatar poteva favorirci, ci siamo ripetuti anche a Portimao, dove sono partito in prima fila, e non era scontato. Sono contento di essere a questo livello: più ci sono e più capisco che ci sono ancora degli step che posso compiere”.
Che ambiente hai trovato in Pramac?
“È un team tutto italiano, e ci sono due figure che avevo nel Team Avintia, il capotecnico Marco (Rigamonti) e l’elettronico Erik (Chiarvesio). I meccanici sono nuovi, si conoscono benissimo tra loro e c’è un ambiente sereno. Questo mi piace. Poi il rapporto con Francesco Guidotti è bello. L’ho notato in Qatar: lui vive proprio le gare. Prima del via il pilota ha un feeling un po’ strano e lui si sente come me. Mi ricorda molto quando ero nel Team Ajo, dove anche lì c’era un buon team manager, che prima di tutto era lì per le gare".
Com’è lavorare con gli italiani?
"Mi piace perché con loro riesco a parlare con facilità. Anch’io ho la mia storia nelle moto perché ho un po’ di esperienza e quando la condivido con loro mi accorgo che abbiamo vissuto le stesse cose, anche se in modo diverso. Questo aiuta la nostra relazione”.
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Quella con Pramac è la tua grande occasione?
“In passato ne ho avute, per esempio in Moto2. In MotoGP con la Yamaha ho vissuto un bel periodo, ma quello attuale è un altro momento da cogliere. Come sportivo è tutto a posto, c’è una bella moto, e poi un team capace. Sogno il titolo, ma anche finire tra i primi tre sarebbe sinonimo di una grande stagione, che mi farebbe pensare all’anno successivo con la voglia di puntare al Mondiale".
Visti i valori in pista e il tuo potenziale, ti senti un candidato al campionato?
"Credo di sì, ma devo compiere ulteriori step a livello di fiducia e di guida su questa moto. Fare un po’ come Pecco Bagnaia, che gestisce la moto: se riesco ad avere il suo stesso feeling alla guida, unito alle cose che so fare io, credo che avrò tante carte in mano per il titolo. Adesso non le ho ancora, ma posso giocarmi qualcosa. Ci sono vicino”.
Pensando ai due piloti ufficiali Ducati, Miller e Bagnaia, cosa vorresti prendere da loro?
“Quando ha tutto a posto, Pecco è una macchina, sfrutta la Ducati perfettamente: usata in questo modo, diventa la moto migliore. Anche nelle qualifiche, lui riesce a mettere tre decimi tra sé e gli altri, noi invece abbiamo gap di pochi millesimi. Da Jack prenderei la mentalità, si diverte tanto, è forse meno preciso di Pecco, ma quando c’è un piccolo problema sa andare oltre. È una caratteristica da vero pilota. Anche quando a Portimao mi ha fatto salire sulla sua moto per tornare al box: soltanto lui fa queste cose. Riesce a essere concentrato in modo performante, ma dopo la bandiera a scacchi è lì per divertirsi. È la mentalità giusta nello sport”.
Nel tuo box invece c’è Jorge Martin, un debuttante che ha già fatto vedere di che pasta è fatto, come ti trovi con lui?
“Benissimo. È giovane, mi sento come il suo fratello maggiore. Senza dargli consigli, perché siamo sempre avversari, ma se le cose gli vanno bene sono contento per lui. Il secondo weekend del Qatar, con il nostro doppio podio, è stato bellissimo e domenica sera l’ho abbracciato. Eravamo contenti entrambi, per noi e per il team".
Con la Ducati è iniziata la tua rinascita: che rapporto ti lega a questa Casa?
"Tutto è iniziato a novembre 2019, quando mi hanno dato l’opportunità di rinascere. C’è un bel rapporto di fiducia con Gigi (Dall’Igna), quando vado bene mi fanno sentire dentro il progetto. Poi hanno anche moto stradali di alto livello, come la Panigale con cui mi posso allenare. Basta mettere due gomme da asciutto e mi posso allenare in modo utile. Sono gli unici ad avere una moto così pronta per la pista senza dover fare nulla. Poi si può sempre migliorare, perché con quella “standard” noi piloti di MotoGP tocchiamo il limite subito, ma già così ti danno la possibilità di allenarti a 300 km/h. Già soltanto per questo mi sono innamorato della Marca”.
Guidi una Ducati anche nel tempo libero?
“Sì, la Multistrada, e questo è l’altro aspetto che fa amare la Ducati. Lì si tocca un altro spirito. Non sono più le gare, ma facendo un giro puoi conoscere anche tanti appassionati e avvicinarti a loro, quelli che poi sognano guardando la MotoGP. Peccato non si possa fare il World Ducati Week: appena ho firmato, la prima cosa che mi ha chiesto Ciabatti è stata di tenere quel weekend libero per quell’evento. Spero di poterci andare presto".
Sul podio del GP Doha hai inscenato un duetto con Fabio Quartararo, cantando la Marsigliese. Quali sono i vostri rapporti da rivali e connazionali?
"Buonissimi, è un po’ la stessa relazione che ho con Martin. Io e Fabio siamo di generazioni differenti ma puntiamo allo stesso obiettivo. La Francia del motociclismo ha bisogno di crescere, di avere un’immagine più bella e globale, non soltanto per gli appassionati. Grazie a me e Fabio, ora possiamo far parlare della MotoGP a livello nazionale. A Losail lui ha vinto, davanti a me, e avevo voglia di godermi quel momento. Allora ho cantato l’inno. Lui vince un GP ma è timido, se lo fai un po’ ridere poi si lascia andare. Ho più anni di lui, so che quei momenti bisogna viverli, senza esitare”.
Quando toccherà a te far suonare la Marsigliese?
“Visto che la moto può andare forte dappertutto, può succedere in ogni momento. Magari a Jerez, anche se è una pista più piccola e forse più complicata per la Ducati, ma credo che si possa fare qualcosa di bello. Se non avverrà lì, poi ci sono Le Mans – e lì sarebbe ovviamente bellissimo – e il Mugello, dove sulla carta forse abbiamo più possibilità".
Alex Rins e Maverick Viñales stanno per diventare papà: fai mai anche tu questi pensieri?
"Adesso con il Covid-19 la vita è troppo strana, non posso pensare che il mio bambino, ciò che amerò di più in assoluto, possa vivere questo mondo strano. Purtroppo non c’è la libertà. Anche se io so di essere un privilegiato – la mia vita è bellissima, posso correre, posso fare tante cose – quando mi fermo a riflettere, sono triste. È bello l’amore, così come l’idea di creare una famiglia, ma bisogna vedere com’è la situazione che ci circonda. Meglio aspettare”.
Tra i tuoi tratti distintivi, c’è anche la capacità di suonare alcuni strumenti musicali, come pianoforte e chitarra. Da cosa nasce questa passione?
“Da mio fratello, che sa suonare e cantare davvero bene. Quando sono andato a vivere da solo non avevo la TV e lui mi ha regalato una tastiera, così ho imparato a suonare il piano. E da due anni suono anche la chitarra. La porto in circuito – è molto più comoda da trasportare rispetto al pianoforte! – e mi diverto tanto. Imparare a suonare ti fa crescere: se non riesci a fare qualcosa, con la pratica e la dedizione poi fai progressi".
E chi è oggi Johann Zarco?
"Un uomo, non più un ragazzo, che ha vissuto diverse situazioni. Non tutto è stato facile, ma alla fine ho fatto esperienza: sono un uomo che vuole essere ancora uno sportivo di alto livello e con tanta voglia di vincere. Ed è questo che mi avvicina allo Zarco di dieci anni fa: stesso obiettivo, ma più esperienza”.
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