Il campione che veniva da lontano seppe incantare con il suo stile di guida innovativo e la semplicità fuori dalla pista, dove lui e la moglie Soili costituivano l'intero team. Divenne Campione del Mondo prima di incontrare il destino assieme a Pasolini nella carambola di Monza
In quei pochi anni Saarinen aveva fatto breccia nel cuore degli appassionati. Aveva sconvolto tutte le logiche, con il suo stile che faceva storcere il naso ai puristi: “scomposto” lo definivano allora, petto schiacciato sul serbatoio e ginocchia così spalancate da dare ogni tanto una pelatina all’asfalto, quando ancora si piegava con le gomme scolpite. Jarno aveva un senso del limite pazzesco e un segreto che affondava le origini nelle sue prime gare. Quelle su fondo innevato disputate nella natia Finlandia, dove si imparava a controllare la sbandata come poi avrebbero appreso Roberts nel Dirt Track, e tutta la banda dei piloti VR46 nel ranch di Valentino Rossi.
Il guaio era che la Yamaha dalla fine degli Anni Sessanta aveva cessato l’impegno ufficiale e si limitava a dare un appoggio esterno ai suoi piloti più talentuosi: Read, Kent Andersson e Jarno, che da privato vinse il titolo iridato 250. In quello stesso 1972 fece anche un’apparizione con le Benelli 350 e 500 in un GP internazionale a Pesaro e vinse entrambe le gare davanti a Giacomo Agostini. Sarebbe stato bello averlo sulle quattro cilindri italiane l’anno dopo. Ma non ci fu un seguito. Aveva le idee chiare il finlandese volante, che amava le corse, Soili e le moto, voleva vincere tanto e presto per ritirarsi presto a vita privata, fare l’ingegnere e godersi la famiglia. Senza spocchia, campione della porta accanto che non temeva di sporcarsi le mani. C’è da stupirsi se era amatissimo? C’è da stupirsi se la Yamaha volle proprio lui quando decise che nel 1973 avrebbe ripreso l’impegno diretto nel Motomondiale?
Link copiato