Tra i numerosi piloti argentini con antenati italiani, spicca la famiglia di origine siciliana: dal patriarca Salvador al talentuoso Benedicto, rivale di Hailwood
Dopo alcune puntate dedicate alle marche motociclistiche argentine, eccone un’altra che intende onorare quei campioni locali i cui cognomi rivelano la nascita o la discendenza italiana. L’impresa si è rivelata assai più difficile del previsto per due motivi: il primo è il numero incredibile di piloti con nomi “tricolori” che hanno corso in Argentina e il secondo è la complessità della verifica dell’effettivo legame con il nostro Paese.
Polvere di stelle: Argentina, figlia dell'Europa
Non sono riuscito, per esempio, ad accertare l’italianità – diretta o indiretta – di Sebastian Oscar Porto, il più talentuoso dei piloti argentini nel Motomondiale, il cui vero cognome è Porco (da lui cambiato nel 1997), però ho appurato che il cognome Porco è molto diffuso in Calabria (quasi 400 famiglie), quindi è lecito pensare che il più forte dei campioni nati in Argentina (a Rafaela nel 1978) abbia parenti in questa nostra regione. Ma se Sebastian Porto è stato il più forte dei piloti argentini per i suoi risultati nel Motomondiale (vice campione della 250 nel 2004, 162 gare disputate con sette vittorie e 19 podi), nella storia del motociclismo sudamericano brilla particolarmente la stella di un’intera famiglia di certa origine italiana, quella che porta il cognome Caldarella.
Il padre, Salvador, era approdato a Buenos Aires a soli 15 mesi assieme ai suoi genitori emigrati dalla Sicilia. Aveva studiato per specializzarsi in fotografia medica e divenne molto noto in questa professione per aver lavorato con i chirurghi Ricardo e Enrique Finochietto, considerati “maestri della chirurgia argentina” (e anch’essi figli di immigrati genovesi). Ma Salvador aveva una grande passione per la motocicletta e per le corse: così, per arrotondare i guadagni quando sua moglie, un’argentina figlia di italiani, gli diede i due figli Benedicto e Aldo, aprì un’officina e cominciò a partecipare a gare di Velocità con una Saturno 500 “Sanremo” acquistata dal corridore italiano Aldo Brini in occasione di una sua trasferta per gare in Argentina.
Andava forte, Salvador. Due volte vinse il campionato nazionale e si distinse anche in gare all’estero, in Cile e Perù, sempre in sella a una Gilera, che dopo la “Sanremo” era stata sostituita dalla più evoluta “Piuma”. Gilerista accanito era anche suo figlio Benedicto, che a quindici anni (era nato l’1 settembre 1940) cominciò a correre con una Gilera 150 maggiorata a 175 cm³, sognando però la 500. Nel 1957, l’anno in cui Salvador appese il casco al chiodo, in Argentina sbarcarono, con le loro 500 quattro cilindri ufficiali, Libero Liberati e Alfredo Milani, inviati dalla Casa di Arcore per dare prova della loro forza tecnica e sportiva a vantaggio delle vendite in quel Paese in cui operava una sua filiale produttiva. L’autodromo di Buenos Aires in quell’occasione fece il pienone di pubblico e nel paddock fra i fortunati autorizzati a osservare da vicino piloti e moto c’era Benedicto Caldarella.
In una recente intervista ha ricordato quel giorno: “Da ragazzo che vuole imparare, non mi feci sfuggire nulla di ciò che Libero Liberati fece sulla Gilera ‘Quattro’ nel suo primo contatto con la pista. Notai come avviò la moto, aspettandomi di sentire il meraviglioso suono dei suoi quattro cilindri, registrai la sua posizione di guida e quando per la prima volta apparve sul rettilineo dei box a una velocità mai vista prima, il pubblico, si alzò in piedi. Quando andai a dormire, portai il suono dei quattro cilindri nelle orecchie e nel cervello”. Liberati vinse e fu portato in trionfo dalla folla. Benedicto si ripromise che un giorno avrebbero portato in trionfo anche lui.
Nel 1959 riuscì a convincere il padre ad affidargli la Gilera Saturno Piuma e lo ripagò con il secondo posto nel campionato argentino della classe 500 alle spalle di un altro italo-argentino che correva invece su Norton, Miguel Ángel Galluzzi, genitore di quello che oggi è forse il più celebre stilista di moto al Mondo e che ha lo stesso nome. L’anno dopo, con nove vittorie in dodici gare, Benedicto conquistò di prepotenza il titolo nazionale. Con questi successi guadagnò fama in tutto il Sud America, ma due eventi lo fecero conoscere anche in ambito internazionale. Nel 1961 si corse per la prima volta il GP Argentina, ultima prova del Motomondiale, e la Honda, presente con la squadra, offrì una 250 quattro cilindri a Miguel Ángel Galluzzi, suo concessionario nel Paese.
Questi, avendo appeso il casco al chiodo, fece il nome di Benedicto Caldarella, che ebbe così l’occasione di debuttare in un team ufficiale. Fu un esordio eccellente: in gara lottò con i tre piloti della Casa giapponese, Tom Phillis, Jim Redman e Kunimitsu Takahashi e fu costretto al ritiro nel finale a causa di problemi alla sospensione posteriore mentre si trovava al comando. Nel 1962 la FIM promosse ancora il GP Argentina in chiusura del Mondiale e Caldarella gareggiò nella 500 – disertata dai grandi assi del momento – vincendola con la Matchless davanti ai connazionali (e anch’essi di discendenza italiana) Juan Carlos ed Eduardo Salatino, entrambi su Norton. Laureatosi nuovamente campione argentino della 500 nel 1963, alla fine di quell’anno padre e figlio Caldarella incontrarono a Buenos Aires Giuseppe Gilera, in visita al suo stabilimento sudamericano. Gli chiesero materiale “fresco” per la Saturno e insperatamente ottennero molto, molto di più: due quattro cilindri che puntualmente arrivarono via nave destinate a Benedicto.
La casa di Arcore era reduce da una stagione molto deludente, dopo il rientro semi-ufficiale attraverso un accordo con la scuderia creata apposta dal suo ex campione Geoffrey Duke in veste di team manager. Giuseppe Gilera era incerto se chiudere nuovamente e definitivamente le porte del reparto corse, oppure tentare un ultimo rilancio con una squadra interna. Forse furono proprio le vittorie che Caldarella colse subito nell’inverno del 1963 in Argentina e Uruguay a spronarlo a battersi ancora contro la MV nel Mondiale. E Benedicto, il suo pilota ufficiale, si dimostrò all’altezza del compito affidatogli. Ormai liberatosi dei panni stretti del Sud America, venne in Italia e grazie anche al carattere gioviale e a una rara modestia, legò con gli uomini del reparto corse di Arcore, in particolare Giovanni Fumagalli, celebre meccanico degli anni d’oro della quattro cilindri italiana. Si allenò con cura e si presentò in gran forma all’inizio della stagione agonistica 1964. Il grande esordio fu a Daytona nel GP Stati Uniti, dove per tutta la gara battagliò con Mike Hailwood alternandosi con lui al comando finché non fu costretto al ritiro da un guasto al cambio.
L’esordio più che convincente eccitò il tifo degli appassionati in vista dei successivi Gran Premi, ma in Olanda e in Belgio le speranze dei Gileristi furono deluse, non da Caldarella, velocissimo anche su piste a lui sconosciute, ma dalla quattro cilindri, che entrambe le volte si arrese. Giuseppe Gilera decise allora di continuare a correre soltanto in Italia, e qui le soddisfazioni non mancarono: Caldarella vinse a Imola, Vallelunga e Ospedaletti, poi si presentò al via del GP Nazioni a Monza, dove duellò stupendamente con Hailwood, stabilì il nuovo record sul giro, ma alla fine dovette soccombere alla superiorità della MV. Di lui Hailwood disse: “È piccolo, ma sulla moto è un gigante”.
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