La disciplina visse la diffusione a fine Anni ‘50, grazie anche alle proposte Mi-Val, Aermacchi, Bianchi, fino alla Guzzi
A cimentarsi per prima fu la Mi-Val che, per poter impiegare questa moto tanto nella classe 500 quanto nella 250, ne realizzò due versioni. Si trattava di una bella monocilindrica, con distribuzione monoalbero comandata a catena più coppia di ingranaggi e parte ciclistica dovuta al torinese Carrù, con il quale era stato stipulato un accordo che prevedeva anche la gestione della squadra. La trasmissione primaria a ingranaggi era posta sul lato sinistro mentre dalla parte opposta vi erano il comando della distribuzione e la pompa dell’olio. I due rami della catena passavano entro due caratteristici tubetti, ben visibili sul lato destro del poderoso gruppo testa-cilindro, che nell’ultimo periodo di impiego della moto vennero sostituiti da un unico carterino. Nella testa erano alloggiate due valvole sensibilmente inclinate una rispetto all’altra. Il sistema di lubrificazione era a carter umido e l’accensione a magnete, davanti al basamento. La trasmissione primaria era a ingranaggi e il cambio, del tipo in cascata, aveva quattro marce. Il telaio, di disegno molto lineare, era a doppia culla continua.
La Mi-Val 250 aveva un alesaggio di 69 mm e una corsa di 66. Per gareggiare nella 500 vennero impiegate una versione di 350 cm³ della stessa moto (con misure di 77 x 76,5 mm) poi nel 1959 una con cilindrata portata a 400 cm³: i due modelli conquistarono un titolo italiano a testa. Al termine del 1959 l’azienda bresciana, che stava iniziando a perdere interesse per il settore motociclistico, abbandonò l’attività agonistica.
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