        Venerd&igrave; 29 giugno 1984, quando si present&ograve; in pista per le qualifiche del GP Olanda classe 125, Maurizio Vitali s&rsquo;era ripromesso una cosa: evitare a tutti i costi di fare la pole. Cos&igrave;, pensava, avrebbe verificato se la maledizione di cui si sentiva vittima era realt&agrave; o fantasia. Durante quella stagione era partito al palo gi&agrave; in tre occasioni, finendo sempre nei guai, per un motivo o per l&rsquo;altro. L&rsquo;obiettivo, poi riuscito, era la prima fila ma senza aver siglato il miglior crono, per capire se cos&igrave; la sfortuna l&rsquo;avrebbe ignorato. Il giorno della gara, dopo le schermaglie iniziali, la strategia sembrava funzionare: il romagnolo, 27 anni, guidava la corsa e gli veniva tutto facile. L&rsquo;indicatore della temperatura dell&rsquo;acqua, sullo zero, non lo preoccupava: si sar&agrave; rotto lo strumento, pens&ograve;. Invece, funzionava eccome. Era al massimo, non al minimo: il calore aveva fatto fare il giro alla lancetta! Il bicilindrico due tempi della sua MBA alz&ograve; bandiera bianca, smentendo la tesi della pole stregata e confermando una teoria pi&ugrave; datata: quando la vittoria sembrava l&igrave;, a un passo, ne succedeva sempre una. Il caso pi&ugrave; eclatante un paio d&rsquo;anni prima a Misano, con una rottura a meno di un giro dalla bandiera a scacchi mentre si preparava per un finale di fuoco contro nientemeno che il futuro 12+1 volte campione del Mondo Angel Nieto. In qualche modo ai forfeit tecnici Vitali impar&ograve; a farci l&rsquo;abitudine, mentre le luci della ribalta non l&rsquo;hanno mai visto a suo agio. Nel 1983 a Imola, circondato da tifosi e curiosi dopo il primo successo nel Motomondiale, ignor&ograve; tutti e rientr&ograve; a casa senza tante cerimonie. Di vittorie ne colse due, ma potevano essere di pi&ugrave;. Innamorato della guida ma poco attratto dall&rsquo;aspetto tecnico dei mezzi con cui ha corso, compens&ograve; con l&rsquo;istinto ci&ograve; che mancava sul fronte della conoscenza. Uno stile improntato sulla forza, che conobbe una svolta nel 1983 quando il romagnolo ricevette una rivelazione: in un contesto sacro, avrebbe visto un paio d&rsquo;angeli avvolti in un fascio di luce e ascoltato un coro di voci bianche. Si trovava invece a bordo pista durante un turno di prove della classe 500: furono Freddie Spencer e Kenny Roberts a &ldquo;confidargli&rdquo; il segreto.  Continua nella prossima pagina EWC, 8 Ore di Suzuka: Suzuki al via col team CN Challenge Maurizio Vitali si racconta  Cosa accadde?  &ldquo;A Jarama, ero in compagnia del mio futuro cognato, che voleva scattare qualche foto. C&rsquo;era una doppia curva a sinistra: i primi a passare frenarono tardi e forte, entrarono con la forcella schiacciata, abbastanza &lsquo;impiccati&rsquo;, poi via in accelerazione. A un certo punto, ecco Spencer e Roberts: toccarono i freni prima degli altri e con maggiore delicatezza. Cos&igrave; le moto si scomposero meno e quando andarono a piegare l&rsquo;assetto non era in crisi. Avevano molta pi&ugrave; velocit&agrave;, una cosa impressionante. Pi&ugrave; tardi, quando scesi in pista per il mio turno, replicai quel modo di guidare. Non fu una cosa elaborata mentalmente, era come se l&rsquo;avessi assorbita in modo naturale. Fui rapidissimo: feci la mia prima pole. Fu una svolta&rdquo;.  E in gara?  &ldquo;Andai in testa, ma il motore inizi&ograve; a calare. Eugenio Lazzarini mi riprese e mi super&ograve;. A quel punto, secondo le mie impressioni, rallent&ograve;. Forse voleva agevolare il rientro del suo compagno di squadra, Nieto, che correva in casa ed era attardato. In uscita da una curva stretta esit&ograve; nell&rsquo;aprire il gas. Nel giro successivo fece la stessa cosa e mi spazientii. Nella sinistra successiva, da quarta marcia, feci una manovra da matto: lo passai all&rsquo;esterno prendendomi un bel rischio, perch&eacute; oltre l&rsquo;asfalto c&rsquo;erano appena venti centimetri d&rsquo;erba e un guard-rail. In uscita allargai il gomito per scansarlo. Non ricordo se ci toccammo&rdquo;.  Eri uno aggressivo?  &ldquo;Se serviva, mi facevo rispettare. Gli equilibri si stabilivano cos&igrave;. Sempre in quella gara, poco dopo venni raggiunto da Nieto. Visto il mio motore, fiacco, mi affianc&ograve; sul rettilineo e inizi&ograve; a stringermi contro il muretto dei box. Tutt&rsquo;altro che intimorito, semmai arrabbiato perch&eacute; senza problemi tecnici forse avrei vinto con 20 secondi di vantaggio, praticamente gli lanciai la moto addosso. Lui se ne accorse in tempo e mi evit&ograve;&rdquo;. Come fin&igrave;?  &ldquo;Pensavo che una volta al parco chiuso ci saremmo messi le mani addosso. Che lui fosse arrabbiato. Invece, non mi disse nulla. Da quel giorno, non mi ha pi&ugrave; ostacolato&rdquo;.  L&rsquo;anno prima, a Misano, tu e Nieto avevate battagliato fino all&rsquo;ultimo giro.  &ldquo;Eravamo disposti a tutto. Per quanto mi riguarda, anche a combinare dei danni. Come da copione, il mio bicilindrico cal&ograve; e sul dritto ero penalizzato. Nonostante tutto, nel giro decisivo ero davanti: prevedevo un attacco di Nieto all&rsquo;ultima curva, ma non ci arrivai, perch&eacute; la moto mi moll&ograve; prima. Colpa di una vite larga tre millimetri e lunga 1,5&rdquo;. Lo spagnolo, tagliato il traguardo da vincitore, si ferm&ograve; a bordo pista e venne caricato su un&rsquo;ambulanza: era acciaccato, reduce da una caduta la settimana prima mentre correva con una Honda 500. Fu Nieto il tuo rivale pi&ugrave; tosto?  &ldquo;S&igrave;, senza dubbio. Veloce, grintoso, intelligente, ambizioso, determinatissimo. Anche generoso. Penso all&rsquo;ultima gara del 1984. Anche se aveva gi&agrave; vinto il titolo della 125, corse al Mugello perch&eacute; la Garelli, per la quale era ufficiale, voleva monopolizzare il podio. Oltre a lui e Lazzarini, schierava Fausto Gresini. Ero il pi&ugrave; veloce, ma Nieto ci prov&ograve; comunque. Poteva accontentarsi, invece cadde e si fece pure male&rdquo;.  Quella fu la tua seconda vittoria nel Motomondiale, la prima era arrivata un anno prima a Imola: un&rsquo;emozione particolare?  &ldquo;Nemmeno tanto. Finita la corsa, attorno alla mia tenda si radun&ograve; un sacco di gente. Ma io non vedevo l&rsquo;ora che se ne andassero via tutti. Praticamente li ignorai, continuando a sistemare la mia roba. Raccolsi la tenda canadese, caricai tutto sul furgone e me ne andai. Non mi interessava apparire, anzi, ero piuttosto solitario, nel paddock. Pensavo a correre e basta. Nemmeno vincere era una priorit&agrave;. Una volta fui contentissimo per un 10&deg; posto dopo una bagarre esaltante&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Vitali: l'intervista  Nel 1984, l&rsquo;avvio fu notevole: sempre in pole nei primi tre GP.  &ldquo;A Misano in gara chiusi secondo, in Spagna e Germania mi ritirai. A quel punto iniziai a pensare che finire primo nelle qualifiche portava male. Due GP pi&ugrave; tardi, in Olanda, evitai apposta di fare la pole: siglavo il primo tempo provvisorio, tornavo ai box e rientravo soltanto quando dal monitor notavo che ero sceso in seconda fila. In quel periodo ero in stato di grazia, giravo forte e mi veniva facile. Stavo ancora sfruttando il segreto rubato a Roberts e Spencer&rdquo;.  Come and&ograve; in gara ad Assen?  &ldquo;Ero davanti, quando vidi che la temperatura era a zero. Pensavo si fosse guastato l&rsquo;indicatore, invece era alle stelle! Colpa di un tubicino del radiatore, che mi lasci&ograve; senza acqua, cottura completa. Doppia beffa: oltre a veder evaporare una possibile vittoria, dovetti mettere mano al portafogli per pagare i danni&rdquo;.  Come gestivi i fondi?  &ldquo;Mi compravo la moto e ci andavo a correre. La assemblavo io stesso, anche se di tecnica ne masticavo poco. Mentre gli altri giocavano con la carburazione, io non cambiavo nemmeno i getti del massimo. Dell&rsquo;Orto 160, lo ricordo ancora. Feci tutta la stagione con quelli. A un certo punto mi sponsorizz&ograve; un marchio di birra, Stella Artois. L&rsquo;importatore era di Bellaria come me e un giorno mi chiese di stilare un budget. Dopo averlo messo su carta, preoccupato da somme che mi sembravano troppo alte, iniziai a tagliare qua e l&agrave;. Quando gli presentai la cifra, mi disse: &lsquo;Dove vuoi andare con questi? Sono pochi!&rsquo;. Mi diede di pi&ugrave;, ma alla fine non bastavano comunque&rdquo;.  Nel 1985 eri in 250 da ufficiale Garelli, compagno di squadra di Nieto.  &ldquo;Lui aveva un motore pi&ugrave; spinto del mio, veloce ma anche pi&ugrave; cattivo e difficile. Angel era a fine carriera, all&rsquo;anagrafe aveva dieci anni pi&ugrave; di me che ne avevo 28, aveva meno motivazioni. Non si qualificava nemmeno. La domenica diceva al team di montare il suo bicilindrico sulla mia moto. In gara poi, mi ci voleva qualche giro per adattarmi all&rsquo;erogazione. La Garelli era ben messa come cavalli, ma si rompeva. La ciclistica era nata gi&agrave; vecchia: lunga d&rsquo;interasse, era bassa e con poca escursione nelle sospensioni, l&rsquo;angolo del cannotto di sterzo troppo aperto. Nel guidarla, sembrava di dover spostare un camion&rdquo;.  Con te la Garelli 250 venne sviluppata?  &ldquo;Non grazie al mio contributo. Non fui molto utile perch&eacute; non riuscivo a dare indicazioni. Faceva parte del mio modo di essere e di guidare: se non giravo abbastanza forte, ci mettevo pi&ugrave; cattiveria. Non cercavo di capire e sistemare&rdquo;.  Hai mai cambiato approccio, da questo punto di vista?  &ldquo;No. Nel 1986 in Svezia ottenni il miglior piazzamento in 250, un quarto posto in condizioni miste. L&igrave; la Garelli andava bene perch&eacute; le curve sopraelevate ne valorizzavano la stabilit&agrave; e c&rsquo;erano pochi punti in cui serviva maneggevolezza. Poi andammo a Misano, dove pensavo di volare. Invece, nelle prove ero lento. Rientrato ai box buttai l&igrave; una proposta senza troppe basi: chiesi di allungare i rapporti, una corona con tre denti in pi&ugrave;. Funzion&ograve;: conquistai la prima fila. Ma fu una botta di c&hellip; E comunque in gara mi ritirai dopo qualche giro per un problema tecnico. Tanto per cambiare&rdquo;.  Rimpianti?  &ldquo;In 250 a un certo punto emerse la possibilit&agrave; di andare in Yamaha. Avevo ricevuto un&rsquo;offerta da Giacomo Agostini, ma poi i giapponesi imposero un pilota del Sol Levante e sfum&ograve; tutto. Avevo anche offerte da Honda, che scartai, e Aprilia. Andai a Noale e mi presi una settimana per riflettere. Pensai: loro hanno Loris Reggiani, non &egrave; pi&ugrave; bello se io resto alla Garelli, un altro italiano su moto italiana, e vediamo cosa succede? C&rsquo;era pi&ugrave; poesia. Per la mia carriera fu uno sbaglio. E l&rsquo;ho pagato&rdquo;.        

"Vinsi due gare in carriera: poche se penso ai numerosi guai meccanici, ma tante se rifletto sui mezzi a disposizione e sulla mia conoscenza tecnica, non certo infnita"

Maurizio Vitali: "Scelsi la Garelli. C'era più poesia, ma pagai quella scelta"

        Nuova gara nel continente americano e seconda puntata della rubrica &ldquo;Paese che vai, pilota che trovi&rdquo;. Per la #RoadToAustin oggi vediamo tutti i piloti americani del Motomondiale, da quelli pi&ugrave; vincenti ai one season wonder. A differenza dell&rsquo;Argentina che ha prodotto solamente Porto, Rodrigo e Valentin Perrone, la scuola nordamericana del motomondiale ha prodotto un numero enorme di piloti, titolati o meno, che hanno dato spettacolo sui tracciati di tutto il mondo.&nbsp;  Kenny Roberts capostipite e primo titolato, Freddie Spencer l&rsquo;eroe delle due classi  Se qualche traccia di pilota americano si &egrave; intravista sul finire degli anni 60, &egrave; dagli anni 70 che dal Nord America arrivano in massa piloti dalle grandi doti di guida, provenienti dal campionato nazionale AMA. Il capostipite della colonia americana del Motomondiale &egrave;, senza dubbio, il grande Kenny Roberts. Kenny debutta in 250 nel 1974 con la Yamaha e non lascer&agrave; mai pi&ugrave; le moto di Iwata, diventandone team manager poi tra gli anni 80 e 90.&nbsp; Kenny arriva 4&deg; in 250 nel 1978 con due vittorie e due secondi posti, ma &egrave; in 500 che ottiene le fortune maggiori con ben tre titoli consecutivi tra il 1978 ed il 1980. Nel 1981 chiude terzo e nel 1983 chiude secondo per due punti alle spalle di Freddie Spencer. Un altro grande degli anni 80 e tre volte iridato proprio come il &ldquo;marziano&rdquo; Kenny Roberts &egrave; nientemeno che &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer, fino all&rsquo;anno scorso capo dello Steward Panel della FIM. Freddie debutta nel 1980 in 500 con la Yamaha ma sar&agrave; con la Honda che far&agrave; i risultati migliori. Nel 1983 batte di appena due punti Kenny Roberts, mentre nel 1985 fa la storia vincendo nello stesso anno 250 e 500. Dall&rsquo;86 la sua carriera &egrave; in discesa: solo 4 punti tra l&rsquo;86 e l&rsquo;88 prima di appendere il casco al chiodo. Nell&rsquo;89 &egrave; Giacomo Agostini a convincerlo a rientrare in scena: 33, 5 punti con un quinto posto in spagna come miglior risultato in gara. Centra 2 punti nel 93 con la ROC Yamaha.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Pat Hennen primo americano vincitore in 500, Randy Mamola re senza corona  Se Kenny Roberts &egrave; stato il primo americano iridato, Pat Hennen, che &egrave; scomparso lo scorso anno a 71 anni, &egrave; stato quello che ha centrato il primo successo in Top Class. Il nativo dell&rsquo;Arizona ha debuttato nel 1976 con Suzuki andando a bersaglio in Finlandia nello stesso anno. Hennen ha poi messo a referto altre due vittorie: una nel 1977 in Inghilterra e una nel 1978 in Spagna, stagione poi abortita dopo il secondo posto al Mugello per via di un incidente al Senior TT.&nbsp; Se Stirling Moss &egrave; stato il re senza corona per eccellenza in Formula 1, lo stesso ruolo lo ha ricoperto nel Motomondiale un certo Randy Mamola. Californiano di San Jose, Randy ha debuttato nel 1979 disputando tutte e tre le classi: 250, 350 e 500 in sella a Yamaha e Suzuki con tre podi in 250 e due in 500. Dal 1980 al 1982 vince 5 gare e sale altre 9 volte sul podio chiudendo due volte secondo il Mondiale: nel 1980 alle spalle di Kenny Roberts e nel 1981 alle spalle di Lucchinelli, mentre nel 1983 &egrave; terzo. Centra ancora il titolo platonico di vicecampione nel 1984 con la Honda alle spalle di Eddie Lawson e in Yamaha nel 1987 alle spalle di Wayne Gardner. Randy Mamola &egrave; stato uno dei primi funamboli del motomondiale, prima dell&rsquo;arrivo di Kevin Schwantz.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; La dinastia dei fenomeni: Lawson, Schwantz, Rainey, Kocinski  Abbiamo nominato poco fa Eddie Lawson parlando di Randy Mamola, ed ecco che apriamo questo capitolo ripercorrendo la sua storia. Californiano di Upland, Eddie debutta in 500 nel 1983 con la Yamaha dopo tre apparizioni in 250 con la Kawasaki nel 1981. Nel 1984 centra subito il bersaglio grosso vincendo il Mondiale davanti a Randy Mamola, mentre nel 1985 chiude secondo alle spalle di Freddie Spencer. Con Yamaha vince anche i titoli del 1986 e 1988 prima di accasarsi in Honda e portarsi a casa il suo quarto titolo iridato nel 1989. A conti fatti, Lawson &egrave; il pilota americano pi&ugrave; titolato.&nbsp; Se parliamo di funamboli non si pu&ograve; non citare il mitico #34 Kevin Schwantz. Texano di Houston, Kevin debutta direttamente in 500 con la Suzuki nel 1986. Nel biennio 86-87 raccoglie appena 13 punti, mentre dal 1988 si scatena. Nel 1988 vince in Giappone e Germania chiudendo ottavo, nel 1989 le vittorie diventano 6 per chiudere al quarto posto. Sfiora l&rsquo;iride nel 1990 trovando sulla sua strada un grande Wayne Rainey. Il binomio Schwantz-Rainey nei primi anni 90 d&agrave; vita a grandissimi duelli per vittorie e titoli iridati. L&rsquo;alloro per Kevin arriva nel 1993 ma in circostanze piuttosto &ldquo;fortunose&rdquo; per via dell&rsquo;incidente che interrompe la carriera di Rainey a Misano. Nel 1994 non riesce a difendere il suo numero 1 che finisce sul cupolino dell&rsquo;australiano Doohan. Schwantz chiude la sua carriera a met&agrave; del 1995 dopo un infortunio pesante al polso. Tra i fenomeni di fine anni 80 e inizio anni 90 &egrave; impossibile non citare il grande Wayne Rainey. Californiano di Los Angeles, Wayne debutta nel Mondiale in 250 nel 1984 con la Yamaha. Passa in 500 nel 1988 e subito chiude il campionato al terzo posto, arrivando poi secondo alle spalle di Lawson nel 1989. Dal 1990 fino a Misano 1993 la 500 &egrave; praticamente sua: tre titoli iridati consecutivi tra il 1990 ed il 1992. Mentre &egrave; avviato verso il quarto alloro consecutivo, il 5 settembre 1993 si interrompe bruscamente la sua carriera per via di un incidente a primo impatto banale ma che si rivela devastante per la sua colonna vertebrale che sbatte sul cordolo del Curvone spezzandosi e rendendo Rainey paraplegico.&nbsp; Tra la fine degli anni 80 e l&rsquo;inizio degli anni 90 il Motomondiale ha conosciuto anche John Kocinski. Nativo di Little Rock in Arkansas, John ha debuttato in 250 nel 1988 con la Yamaha. Nel 1989 vince due gare ma chiude solamente quattordicesimo. Il 1990 &egrave; l&rsquo;anno del suo primo ed unico alloro nel Motomondiale con 7 vittorie e 12 podi complessivi. Nel 93 inizia la stagione in Suzuki per trasferirsi in Cagiva. Corre in 500 dal 1991 al 1999 con Yamaha, Cagiva ed Honda centrando due terzi posti a fine stagione nel 1992 e 1994.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Tale padre, tale figlio: Kenny Roberts Jr come pap&agrave; Kenny. Hayden ultimo iridato  Se in Formula 1 solamente Damon Hill e Nico Rosberg hanno bissato il titolo del proprio padre, nel Motomondiale l&rsquo;unico binomio titolato padre-figlio &egrave; quello dei Roberts, con Kenny Jr iridato nel 2000. Californiano di Mountain View, Kenny Jr debutta in 250 nel 1993 con la Yamaha. Ottiene risultati di rilievo nella quarto di litro solamente nel 1995 con un ottavo posto finale in campionato. Nel 1996 passa in 500 con la Yamaha, nel biennio 97-98 corre con la Modenas KR3 del padre Kenny Senior. Passa in Suzuki nel 1999, vince 4 gare e chiude al secondo posto alle spalle di Alex Crivill&eacute;. Con altre 4 vittorie vince il titolo del 2000 davanti a Valentino Rossi. Dal 2001 al 2005 centra altri tre podi con la Suzuki tra 500 e MotoGP, nel 2006 guida la KR211V nel team del padre centrando gli ultimi due podi della carriera. L&rsquo;ultimo iridato della dinastia americana &egrave; l&rsquo;indimenticato Nicky Hayden. Nativo di Owensboro, Kentucky Kid ha debuttato in MotoGP nel 2003 nel team ufficiale Honda Repsol al fianco di Valentino Rossi, instaurando con lui subito un grande rapporto di amicizia. Dal 2003 al 2008 Nicky corre con la Honda ufficiale vincendo in totale tre gare, una nel 2005 a Laguna Seca e due nel 2006, Assen e ancora Laguna Seca. Il punto pi&ugrave; alto in MotoGP &egrave; ovviamente il titolo iridato del 2006 davanti a Valentino Rossi per soli 5 punti. Nel 2009 passa in Ducati, tre soli podi fino al 2013 prima del ritorno in Honda nel biennio 2014-2015. Menzioni onorevoli  Tra i piloti americani passati dal Motomondiale bisogna ricordare, in rigoroso ordine alfabetico: Mike Baldwin, 6 podi nel Motomondiale tra il 1979 e il 1988, Cameron Beaubier, nel 2009 in 125 e in Moto2 nel biennio 2021-2022 senza risultati di rilievo, Doug Chandler, 6 podi in 500 tra il 1991 ed il 1994, Colin Edwards, 12 podi in MotoGP tra il 2004 e il 2011, John Hopkins, 4 podi in MotoGP con la Suzuki nel 2007, Ben Spies, 1 vittoria e 6 podi in MotoGP dal 2010 al 2012.       

Kenny Roberts Senior, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Kevin Schwantz, Wayne Rainey, John Kocinski, Kenny Roberts Jr e Nicky Hayden tra gli iridati della scuola americana

Dagli USA con furore: tutti gli americani del Motomondiale

        La stagione 2025 della MotoGP &egrave; partita con una novit&agrave; importante nella Race Direction ovvero Simon Crafar al posto di Freddie Spencer nel ruolo spinoso di capo dello Steward Panel, &ldquo;giudice&rdquo; di quello che succede in pista.&nbsp; L&rsquo;avvento del neozelandese, fino all&rsquo;anno scorso pit reporter della MotoGP, ha finalmente riportato la coerenza sulle sanzioni e la trasparenza dello Steward Panel nel prendere determinate decisioni, mancate negli ultimi anni con Spencer.&nbsp; Crafar e Spencer, due modi diversi di interpretare il ruolo di capo degli Steward FIM  Come fa notare Crash.net nel suo podcast, l&rsquo;attuale capo degli Steward FIM ha un approccio diverso a quello del suo predecessore, ovvero uno sguardo pi&ugrave; ad ampio raggio su quanto succede in pista, essendo stato pit reporter oltre a guidare ancora in pista per verificare le condizioni dei vari tracciati, mentre Spencer era s&igrave; un ex pilota ma aveva una mentalit&agrave; old style. Crafar, inoltre, essendo stato pit reporter, &egrave; pi&ugrave; avvezzo a comparire davanti alle telecamere e spiegare perch&eacute; &egrave; stata data quella determinata penalit&agrave; a quel pilota o perch&eacute; &egrave; stata giudicata in un certo modo piuttosto che un altro una situazione. &nbsp; I casi spinosi giudicati dall&rsquo;entourage di Crafar  Pronti, via e l&rsquo;equipe di Simon si &egrave; trovata subito ad aver a che fare con l&rsquo;impeding di Franco Morbidelli su Bagnaia in Thailandia, costato al vice iridato 2024 l&rsquo;ingresso alla Q2 diretta, e la manovra di Munoz su Lunetta, sotto regime di bandiera gialla, nella gara della Moto3, risultata poi in una partenza dalla pit lane nella gara successiva. Anche l&rsquo;Argentina ha dato molto da fare allo Steward Panel, soprattutto in MotoGP con i contatti nella Sprint tra Morbidelli e Binder, lasciato correre, e quello Aldeguer-Oliveira risultato nell&rsquo;infortunio del portoghese ed il long lap penalty allo spagnolo. Anche il contatto in curva 1 nella gara lunga tra Bezzecchi e Quartararo &egrave; risultato in una non penalit&agrave;, giudicato come errore ed auto eliminazione dello stesso pilota Aprilia, nonostante avrebbe potuto tirare gi&ugrave; anche Fabio ed altri piloti.&nbsp; In definitiva, il team di Crash giudica positivamente l&rsquo;operato di Crafar in queste prime due gare, augurandosi che vada avanti cos&igrave; anche nel prosieguo del campionato       

L&rsquo;ex star della 500 e pit reporter MotoGP sia in Thailandia che Argentina ha preso le giuste decisioni valutando equamente danno e danneggiato

MotoGP: le prime due gare di Crafar come capo dello Steward Panel? Positive

        Due piste per raccontare un pilota. Jarama, in Spagna, alle porte di Madrid. Poi Anderstorp, Svezia, 400 chilometri da Stoccolma. Fabio Biliotti ha vissuto momenti decisivi su quei tracciati. A partire dal 1984, quando si present&ograve; sul circuito iberico dolorante, per la clavicola rotta alla 200 Miglia di Imola cinque settimane prima, lo spirito ferito dalle critiche. In riva al Santerno gli era successo di tutto. Nelle prove, un grippaggio dietro l&rsquo;altro.  Continua nella prossima pagina MotoGP: Martin e la maledizione del numero 1 &nbsp; La carriera di Fabio Biliotti  In gara una caduta al primo giro, la sua Honda 500 trasformata in una palla da bowling che aveva fatto strike atterrando un altro pilota e la faccenda era finita a cazzotti, l&rsquo;osso rotto a complicare le cose. Erano spuntate anche delle perplessit&agrave;, con i reporter pi&ugrave; smaliziati pronti a mettere in dubbio le capacit&agrave; dell&rsquo;aretino: si meritava davvero un posto nel Motomondiale, dove avrebbe affrontato la sua seconda stagione a tempo pieno? La risposta di Biliotti, ai tempi 27 anni, arriv&ograve; proprio in Spagna un mesetto dopo, con una nona piazza dal sapore speciale. Partito indietro, sotto la ventesima casella, riusc&igrave; a inserirsi nel gruppo degli ufficiali con una moto privata, &ldquo;pagata un rene&rdquo; e gestita un po&rsquo; alla buona. Il risultato gli frutt&ograve; i primi due punti iridati della carriera. E arrivarono pure le scuse di chi aveva gettato ombre sulle sue capacit&agrave;. A Jarama il toscano &egrave; stato spesso ispirato: 12 mesi pi&ugrave; tardi un&rsquo;altra Top 10, replicata pure nell&rsquo;86. Nella stagione successiva, ad Anderstorp, un duello fino all&rsquo;ultimo giro con un pilota in sella a un missile (Tadahiko Taira con la Yamaha ufficiale), nel quale la spunt&ograve; con un sorpasso alla penultima curva, luogo di memorie amare: in passato, proprio in quel punto, era stato tamponato da un rivale in quella che indica come una delle sue gare pi&ugrave; promettenti. Svezia e Spagna, dunque, fra riscatti, imprese, sconfitte e sfortune. L&igrave;, come negli altri Paesi che hanno ospitato il Circus iridato, Biliotti ha inseguito il sogno mai avverato di un ingaggio da parte di un team pronto a dargli un mezzo ufficiale. &Egrave; andata in un altro modo, fra collette fatte al bar (per la prima moto), pullman rimessi in sesto (l&rsquo;hospitality di quei tempi), azzardi (con le gomme da asciutto sotto l&rsquo;acqua in Belgio) e avversari americani che filavano come razzi (Freddie Spencer ed Eddie Lawson), il toscano si mise in mostra e a un certo punto venne pure corteggiato da una squadra di alto livello. Per&ograve;, alla fine, non se ne fece niente. Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Bilotti: l'intervista  Partiamo da Jarama: nel 1984, una delle tue gare migliori. &ldquo;Sarei potuto arrivare davanti a Barry Sheene e Reinhold Roth, quindi settimo, ma il dolore alla spalla mi rallent&ograve; nel finale. Venivo da una frattura rimediata alla 200 Miglia di Imola. L&igrave; ero partito molto carico, sulla scia della frustrazione accumulata durante le prove, nelle quali era andato tutto storto. Nella staccata delle Acque Minerali, in discesa, superai tre avversari. Davanti avevo Walter Migliorati, che fren&ograve; presto e tanto. Rischiavo di tamponarlo, cos&igrave; &ldquo;pinzai&rdquo; pi&ugrave; deciso. Mi si chiuse l&rsquo;anteriore e finii a terra. La mia moto lo travolse e lui non la prese affatto bene. Mentre ero a terra, con la clavicola rotta, inizi&ograve; a colpirmi sul casco. Un cazzotto, poi altri. Lasciamo perdere&rdquo;.  Eri in sella a una Honda tre cilindri privata.  &ldquo;Comprata l&rsquo;anno prima. Anzi, ne avevo prese due. Per la modica cifra di 105 milioni di Lire. Fu uno sbaglio, sarebbe stato meglio averne una sola e con tanti ricambi. Ma lo compresi dopo. Pensavo di dovermi presentare alla grande a livello d&rsquo;immagine, cos&igrave; mi ero comprato pure un pullman usatissimo dal Comune di Perugia, poi allestito con officina e zona notte. Fu un errore anche quello, perch&eacute; nel paddock pensarono che fossi l&igrave; perch&eacute; avevo i soldi&raquo;. Ti trovavi bene con quella moto? &laquo;No. Infatti nel 1983, la mia prima stagione a tempo pieno nel Motomondiale dopo la vittoria dell&rsquo;Europeo 500, raccolsi poco. L&rsquo;anteriore non dava fiducia e si cadeva spesso per chiusure davanti. Allora provammo a stravolgere le cose: passammo da una gomma da 16 a una da 18. Un miglioramento ci fu, ma non grande. La Michelin non forniva un pneumatico di quella misura, cos&igrave; usavamo soltanto il loro posteriore. Davanti avevo Dunlop. Era una soluzione un po&rsquo; alla buona. Si sperimentava&hellip;&raquo;. Le Honda ufficiali erano diverse?  &ldquo;Un altro mondo&rdquo;.  Torniamo in Spagna: nel 1986 contendesti l&rsquo;ottava piazza a Juan Garriga e alla sua Cagiva ufficiale.  &ldquo;All&rsquo;ultimo giro, quando mi infil&ograve; nel primo tratto della pista non mi preoccupai, perch&eacute; sapevo che avrei avuto la mia occasione in uscita dalla curva finale, dove ero superiore. Ma proprio quando stavo per affiancarlo, Garriga inizi&ograve; a &lsquo;zigzagare&rsquo;. Esageratamente. Dovetti chiudere il gas per due volte e gli finii dietro&rdquo;.  A proposito di volate: un anno pi&ugrave; tardi, in Svezia, la lotta con Taira, che guidava una Yamaha di quelle buone, affidata al team di Giacomo Agostini.  &ldquo;Lui mi sverniciava nel rettilineo, io mi rifacevo sotto nel misto e lo ripassavo. All&rsquo;ultimo giro decisi di restare nascosto fino alla penultima staccata. Lo infilai e gli arrivai davanti, dodicesimo. &Egrave; stato bello&rdquo;.  Ad Anderstorp anche qualche amarezza, per&ograve;. &ldquo;Nel 1985 stavo facendo una gara esagerata. Poi Gustav Reiner mi tampon&ograve; nella stessa frenata in cui avrei superato Taira due anni dopo. Finii nella via di fuga, che era una specie di stagno perch&eacute; alcune ore prima aveva piovuto. Caddi, mi rialzai, rientrai ai box e ripresi la gara con quattro giri di ritardo. Giravo bene. Fu un peccato&rdquo;.  Quell&rsquo;anno arriv&ograve; il riscatto a Imola dopo la caduta del 1984.  &ldquo;Nella 200 Miglia finii quarto dietro Lawson, Randy Mamola e Takazumi Katayama. Ero entrato a far parte del Team Italia, legato alla Federazione Motociclistica Italiana, che mi aveva dato un motore nuovo. Avere materiale fresco era importante. Dopo un po&rsquo; i freni iniziavano a vibrare, altri componenti si rovinavano o consumavano. Noi privati, spesso al limite con le finanze, ci arrangiavamo. Gli ufficiali invece cambiavano sempre tutto&rdquo;.  Hai mai avuto un assaggio delle moto &ldquo;buone&rdquo;?  &laquo;Una volta a Misano, quando il Team Gallina mi fece guidare una Suzuki nel turno di prove di un Gran Premio. Mi aspettavo un motore che andava come un missile, invece la differenza la trovai in un altro aspetto&rdquo;.  Quale?  &ldquo;Aveva pi&ugrave; coppia, un&rsquo;erogazione migliore. La potenza c&rsquo;era, ma in basso, non in alto. Le curve che con la mia Honda clienti affrontavo in seconda, con quella le facevo in terza. Mi sembr&ograve; pi&ugrave; facile. Anche se in un turno non &egrave; che ci si capisca troppo&rdquo;.  Era dura essere un privato?  &ldquo;Un caro amico diceva che se avessi espresso in un&rsquo;attivit&agrave; imprenditoriale l&rsquo;impegno che mettevo nelle corse, sarei diventato miliardario. Avevo i miei sponsor e quando serviva, anche se &egrave; successo raramente, cercavo di inventarmi qualcosa in pi&ugrave;. Per esempio, all&rsquo;epoca era uso comprare un appartamento con un compromesso fatto tra le parti, senza notaio. Su un prezzo concordato di 50 milioni, pensando si potesse vendere pi&ugrave; caro, magari davo un acconto di 5, prendevo tempo per l&rsquo;atto di vendita e nel frattempo trovavo un cliente che lo acquistava a 60. La moto con cui iniziai, a diciannove anni, la comprammo facendo una colletta al bar, fra amici. Costava due milioni e mezzo: una Suzuki Titan 500, per le gare in Salita&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Biliotti: Potevo essere miliardario...  L&rsquo;inizio direttamente nella mezzo litro.  &ldquo;Come andare a scuola partendo dalle superiori e non dalle elementari. Infatti, di errori ne ho fatti parecchi. A un certo punto, per esempio, un collaboratore ed ex pilota mi sugger&igrave; di passare alla 250, nella quale i privati se la potevano giocare. Ma io, testardo, lo vedevo come un passo indietro. Dalla classe regina a quella di mezzo? No!&rdquo;.  Nel Mondiale 500 con il tuo pacchetto non potevi vincere, lo sapevi.  &ldquo;Il mio sogno era esprimermi con una moto ufficiale. Arrivare a ottenerla. Quando nel 1982 vinsi l&rsquo;Europeo, dietro di me arriv&ograve; un inglese al quale diedero subito una moto buona per l&rsquo;anno dopo. Era del Team Heron-Suzuki. Qualche contatto con loro lo ebbi anch&rsquo;io, in realt&agrave;. Ma pi&ugrave; avanti. Poi le cose non si concretizzarono&rdquo;. Azzardi?  &ldquo;A Spa-Francorchamps nel 1988, pista bagnata. Pensavo spuntasse il Sole e partii con le gomme da asciutto. Il meteo in effetti miglior&ograve;, ma poi venne gi&ugrave; acqua di nuovo. In quel periodo mica si tornava ai box per cambiare moto o pneumatici. Finii con le gomme da asciutto&rdquo;.  Fra i tuoi avversari, chi ti impressionava?  &ldquo;Lawson, per la guida. Una volta ad Anderstorp mi fermai a bordo pista per un problema e restai l&igrave; per un po&rsquo; come spettatore. Lui apriva il gas molto pi&ugrave; degli altri, la moto composta, tantissima efficacia. Spencer port&ograve; linee nuove, spigolava. Era pi&ugrave; lento a centro curva ma migliore in accelerazione. Oltre ai due americani, c&rsquo;era l&rsquo;australiano Wayne Gardner. Guidava veramente cattivo&rdquo;.  &Egrave; vero che hai provato una Formula 3?  &ldquo;A Donington, mi pare nel 1987. Era di un amico che faceva il campionato inglese. Non avevo mai guidato un&rsquo;auto a ruote scoperte. Girai pi&ugrave; forte di lui, a un paio di secondi dai tempi giusti. L&igrave; probabilmente iniziava il difficile&rdquo;.  Mai pensato di passare alle quattro ruote?  &ldquo;Costavano pi&ugrave; delle moto, quindi no!&rdquo;.        

"Ho sempre corso con il desiderio di salire su una moto uffciale: accadde soltanto in un turno di prove..."

Fabio Bilotti, una vita da privato | C'ho provato

        Nel corso degli anni sono stati realizzati tanti docufilm su campioni di diverse discipline sportive, dal calcio alla Formula 1, ma sul Motomondiale non &egrave; stato mai realizzato un biopic su uno specifico pilota. Se escludiamo le serie come MotoGP Unlimited e i documentari su Marc Marquez e Andrea Dovizioso di RedBull TV, l&rsquo;unico film uscito al cinema e dedicato ad un motociclista &egrave; stato quello su Marco Simoncelli di ormai quattro anni fa. A colmare questo vuoto ci pensa &ldquo;Ago prima di tutti&rdquo; il docufilm sulla storia del grande Giacomo Agostini. E lo stesso Agostini presenzier&agrave; in alcune sale prima o dopo la proiezione del lungometraggio per un saluto ed una breve sessione di autografi.&nbsp; Il cast di &ldquo;Ago prima di tutti&rdquo;  Per realizzare questo docufilm, il regista Giangiacomo De Stefano ha radunato un cast decisamente stellare. Oltre a Giacomo Agostini e sua moglie Maria Ayuso, ci sono gli ex piloti Carlos Lavado, Marco Lucchinelli e &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer. Nel docufilm intervengono anche Ferdinando Brachetti Peretti, AD di Api, societ&agrave; petrolifera, i giornalisti Guido Meda, Carlo Canzano, Alberto Sabbatini e Mario Donnini, oggi in Autosprint, Lino Dainese, fondatore della omonima azienda di abbigliamento moto, il CEO di Dorna Carmelo Ezpeleta, Gianni Morandi, Nadia Padovani e Marc Marquez Le date di proiezione del docufilm e le presenze di Agostini  E&rsquo; un vero e proprio tour quello che far&agrave; Agostini in questi primi giorni di marzo per l&rsquo;anteprima esclusiva del suo docufilm. Ago ha gi&agrave; presenziato ieri a Riccione e a Rimini mentre oggi sar&agrave; a Vicenza e a Verona. Domani, invece, sar&agrave; a casa sua a Brescia al Multisala Oz alle 20 e a Bergamo al Multisala Orio alle 21. Gioved&igrave; 6 marzo sar&agrave; il turno di Varese, citt&agrave; della MV Agusta, al Multisala Impero alle 19.30 e alle 21.15&nbsp; Il piccolo tour si chiude a Milano venerd&igrave; 7 marzo, prima al Notorious Cinema Gloria alle 20.30 e al Notorious Cinema Merlata Bloom alle 20.30        

Diretto da Giangiacomo De Stefano, il film ripercorre la storia del pi&ugrave; grande pilota della storia del Motomondiale, 123 vittorie e 15 titoli iridati

“Ago prima di tutti”: il docufilm sul grande Giacomo Agostini

        La Honda CB 750 &egrave; stata un&rsquo;autentica pietra miliare. Con lei iniziarono varie ere: quella delle quadricilindriche, quella degli avviamenti elettrici finalmente efficienti nonch&eacute; quella dei freni a disco a comando idraulico. Moto a quattro cilindri in linea ce ne erano state, e non poche, nell&rsquo;anteguerra, tuttavia con un&rsquo;architettura in linea longitudinale. Quelli in linea trasversale (ovvero &ldquo;frontemarcia&rdquo;, come si diceva allora) erano soltanto raffinati e costosi modelli destinati a gareggiare nei Gran Premi. Freni a disco se ne erano gi&agrave; visti, sporadicamente, ma avevano un&rsquo;efficienza modesta (anche perch&eacute; erano quasi tutti a comando meccanico) e non si erano realmente affermati. In quanto all&rsquo;avviamento elettrico, i sistemi impiegati fino ad allora (Laverda, Guzzi&hellip;) prevedevano batterie e motorini di origine auto e quindi grossi e pesanti. Inoltre, in alcuni casi, quelli dei costruttori europei lasciavano molto a desiderare in quanto ad affidabilit&agrave;. La Honda CB offriva tutto questo in chiave moderna, dedicata e straordinariamente efficace. Naturalmente tutto funzionava in maniera impeccabile, non vi erano trasudi di olio e le vibrazioni erano ridotte ai minimi termini. Passa alla prossima pagina &nbsp; La Honda CB 750   Il motore era un capolavoro di razionalit&agrave; costruttiva. Non mancavano le scelte di compromesso, effettuate sempre con l&rsquo;obiettivo di ottenere i migliori risultati possibili con un dato schema o una determinata soluzione. Una scelta particolare si aveva nella trasmissione primaria: tra l&rsquo;albero a gomiti e il primario del cambio ci doveva essere una certa distanza, e per la presa di moto si era scelta la posizione centrale. Inevitabile fare ricorso a una primaria a catena: venne scelto il tipo a rulli, utilizzato in maniera inconsueta. Niente duplex o triplex, infatti, ma due catene affiancate (con unico tenditore, purtroppo). Centralmente sull&rsquo;albero a gomiti era ricavata anche la ruota dentata che azionava la catena di comando della distribuzione monoalbero. Poich&eacute; i supporti di banco erano cinque, significa che c&rsquo;era una notevole distanza tra i due centrali. Non era quindi un motore da corsa&hellip; Nella testa, fusa in conchiglia nell&rsquo;usuale lega di alluminio ad alto tenore di silicio, erano alloggiate due valvole con un diametro di 32 mm all&rsquo;aspirazione e di 28 allo scarico. L&rsquo;albero a camme azionava le valvole per mezzo di bilancieri a due bracci in acciaio, con riporto di cromo duro sul pattino di contatto con la camma. L&rsquo;angolo tra le valvole era ragionevolmente contenuto in 58&deg;. Nel blocco cilindri in lega di alluminio erano inserite con interferenza le canne in ghisa all&rsquo;interno delle quali si muovevano i pistoni. Questi ultimi, fusi in conchiglia, avevano il cielo piano e il mantello intero, salvo due leggerissime sfiancature all&rsquo;esterno delle portate per lo spinotto. L&rsquo;albero a gomiti era forgiato in acciaio e lavorava interamente su bronzine. Questa scelta indicava una nuova strada per i policilindrici, che nel giro di pochi anni sarebbe stata imboccata anche dagli altri costruttori. Sia i perni di banco che quelli di biella avevano un diametro di 36 millimetri. Le bielle, esse pure in acciaio, avevano una lunghezza di 120 mm ed erano vincolate ai pistoni da spinotti del diametro di 15 mm. Come nelle tradizioni della Casa, il basamento si apriva secondo un piano orizzontale che tagliava a met&agrave; i supporti di banco. Nel periodo iniziale di produzione, per realizzare il basamento si fece ricorso alla fusione in terra. Per questa ragione i primissimi esemplari della CB 750, oggi molto ricercati, sono noti come &ldquo;sand cast&rdquo; engine models. La lubrificazione era a carter secco con due pompe a lobi di grande portata e serbatoio collocato sotto la sella. Le misure caratteristiche del motore erano soltanto leggermente sottoquadre, con un alesaggio di 61 millimetri e una corsa di 63. La potenza delle prime versioni veniva indicata in 65 cavalli a 8000 giri/ min, di conseguenza la velocit&agrave; media del pistone era di 16,8 m/s mentre la potenza specifica era di 88,3 CV/litro. Le prestazioni erano superiori alla media, pur senza essere strabilianti, e la &ldquo;tenuta&rdquo; allo sforzo era straordinaria. Si poteva viaggiare tutto il giorno a elevata velocit&agrave; senza alcun problema.&nbsp;  Passa alla prossima pagina &nbsp; Honda CB 750, il debutto in gara  Il debutto in una gara di importanza internazionale avvenne, inaspettatamente, al Bol d&rsquo;Or che si corse a Montlh&eacute;ry nel settembre del 1969. Alla gara furono iscritte, non in forma ufficiale bens&igrave; attraverso l&rsquo;importatrice francese Japauto, tre Honda 750. Quella di punta era affidata alla coppia Rougerie-Urdich, che vinse senza problemi. Questa moto aveva il motore praticamente di serie ed era stata dotata di quattro scarichi a tromboncino e di un &ldquo;kit racing&rdquo; costituito da sella monoposto, serbatoio e carenatura. Funzion&ograve; impeccabilmente per tutta la gara. La Honda si era ritirata dall&rsquo;attivit&agrave; agonistica al termine della stagione 1968. Per il 1970 fece uno strappo alla regola e schier&ograve; alcune moto ufficiali alla prestigiosa 200 Miglia di Daytona. La corsa fu in pratica una gara a eliminazione con le velocissime BSA/Triumph tricilindriche che ebbero problemi di surriscaldamento e le Honda che si ritirarono una dopo l&rsquo;altra. A eccezione di quella del veterano Dick Mann, che arriv&ograve; al traguardo con soltanto pochi secondi di vantaggio e con il motore che stava per rendere l&rsquo;anima. Una vittoria agevolata da un pizzico di fortuna e molto di misura ma che comunque ebbe vasta eco. Sulla pista americana la Honda sarebbe tornata a vincere soltanto molti, molti anni dopo &ndash;&nbsp;nel 1985 con Freddie Spencer &ndash; e con una moto completamente diversa. Della Daytona la Casa costru&igrave; pochissimi esemplari (pare sei ma c&rsquo;&egrave; chi parla di nove-dieci). Per i piloti privati svilupp&ograve; una serie di parti speciali in modo da trasformare una moto stradale di serie nella Senior. In Italia l&rsquo;importatore ne fece arrivare alcune che affid&ograve; a concessionari e a un paio di team selezionati. Tuttavia alla 200 Miglia di Imola del 1972 non brillarono certo&hellip; In seguito le Honda 750 furono impiegate da diversi piloti, spesso con forte appoggio degli importatori. In Italia, nelle gare per le derivate di serie non ottennero risultati di particolare rilievo. Preparatori ce n&rsquo;erano e in quanto a parti speciali, non mancavano, anche grazie al mitico Pop Yoshimura. Tuttavia Triumph, Laverda e Guzzi avevano tutto sommato qualcosa in pi&ugrave;. Ben presto i concessionari, come la famosa Samoto, e i preparatori che lavoravano sulle Honda giustamente concentrarono le loro attenzioni sulla 500. Le 750 hanno continuato a essere grandi protagoniste nell&rsquo;Endurance, specialit&agrave; molto popolare e seguita in Francia. Proprio la Japauto si impose nel Bol d&rsquo;Or del 1972 e 1973 con moto derivate dalla CB 750 ma con una cilindrata ben superiore ai 900 cm&sup3;. Poi per&ograve; arriv&ograve; la Kawasaki e domin&ograve; la corsa francese per i due anni successivi. Per tornare a vincere, alla Honda occorreva una moto con motore profondamente riveduto nei principali componenti, a cominciare dalla testa e dagli organi della distribuzione. Verso la fine del 1975 venne fondata la HERT (Honda Endurance Racing Team) con il varo di un programma per realizzare la nuova moto, che debutt&ograve; nell&rsquo;aprile successivo rivelandosi subito formidabile. Della CB 750 non rimanevano che lo schema costruttivo generale e la disposizione degli organi meccanici, eccezion fatta per quelli della distribuzione. La nuova testata alloggiava quattro valvole per cilindro, comandate da due alberi a camme che agivano su punterie a bicchiere e che venivano mossi da tre ingranaggi azionati da una catena duplex. Le valvole di aspirazione erano da 28 mm e quelle di scarico da 24. Una soluzione importante, che si distaccava completamente da quella originale, era costituita dalla trasmissione primaria, divenuta a terna di ingranaggi e non pi&ugrave; affidata a due catene a rulli. L&rsquo;albero a gomiti era ricavato dal pieno e il blocco cilindri era costituito da una nuova fusione. Le pompe dell&rsquo;olio erano state maggiorate e il circuito venne dotato di un radiatore abbondantemente dimensionato. Nella versione che trionf&ograve; nel campionato Endurance del 1976 vincendo tutte le gare, la RCB 1000 (nota anche come RCB 941) aveva un alesaggio di 68 mm e una corsa di 64,8, per una cilindrata di 941 cm&sup3;. La potenza veniva indicata in 115 CV a 9500 giri/min. La velocit&agrave; media del pistone era 20,5 metri al secondo, la potenza specifica 122 CV/litro e la pressione media effettiva 11,4 bar. Di questa moto pare siano stati costruiti sei esemplari (qualcuno parla di &ldquo;una decina scarsa&rdquo;). La RCB 1000 vinse a mani basse anche il campionato successivo, ma poi arrivarono le formidabili Kawasaki in nuova versione e la musica cambi&ograve;.        

Diede il via all&rsquo;era delle quadricilindriche, ma anche a quelle degli avviamenti elettrici efficienti e dei freni a disco a comando idraulico

Honda CB 750, tre volte pioniera | Tecnica

        Era uno che parlava poco, Fausto Ricci. Schivo, pacato, introverso. Quando vedeva un altro pilota fare il diavolo a quattro con il proprio team a causa di un pasticcio tecnico, pensava che avrebbe dovuto comportarsi cos&igrave; anche lui. Imporsi, esplodere. Ma poi, mica ci riusciva. A Jarama, nel 1985, quando rimase senza freni nelle fasi decisive dicendo addio al podio, non fece scenate. Lo stesso a Hockenheim due settimane pi&ugrave; tardi, con il motore della sua Honda 250 grippato ancor prima del via. Pioveva, e lui sapeva di poter centrare il bersaglio grosso, perch&eacute; con le rain ci sapeva fare. Le sue chance evaporarono senza che lui ne avesse responsabilit&agrave;: anche in quel caso seppe contenersi. Era il contrario di un suo grande amico, Marco Lucchinelli: il ligure si sarebbe fatto sentire. Le personalit&agrave; dei due erano diverse, quasi opposte. Forse, proprio per questo, compatibili: estroverso l&rsquo;iridato della classe regina 1981, un casinaro tutto sigarette e sorrisi, la battuta pronta. Riservato Ricci, serioso anche quando saliva sul podio, spesso in punta di piedi, come se non volesse disturbare. In pista, per&ograve;, di carattere ne aveva eccome. Quando partiva, lo faceva con l&rsquo;istinto di chi vuole stare davanti a tutti. C&rsquo;&egrave; riuscito soltanto una volta, a Misano nel 1984, alla sua prima apparizione nel Motomondiale. Quella domenica, quando si tir&ograve; su la zip della tuta, copr&igrave; la maglietta che l&rsquo;ha accompagnato per gran parte della carriera, dal 1982 in avanti. In ogni turno di prove come in gara, il romagnolo indossava la stessa t-shirt rossa e grigia. Sopra c&rsquo;era raffigurato l&rsquo;uomo dal quale l&rsquo;aveva ricevuta in regalo: Lucchinelli, in piega sulla Honda 500, una corona di piume da capo indiano a spuntare dal casco. Dopo diverse stagioni, quando a forza di sudore e lavaggi si riemp&igrave; di buchi, Ricci smise di indossarla ma non di portarla in valigia. L&rsquo;ha voluta con s&eacute;, come un amuleto, per 63 GP iridati nei quali, oltre al successo di Misano, colse altri quattro podi, tutti in 250. Classe 1961, dalla provincia di Ravenna, nella quarto di litro doveva vedersela con avversari come Freddie Spencer, Carlos Lavado, Toni Mang e Sito Pons. Tutti pluricampioni del Mondo, prima o poi. Con loro non ha mai avuto nessuna esitazione, zero complessi d&rsquo;inferiorit&agrave;. Mentre con i tecnici &egrave; stato diverso. I veri disagi, da quanto ricorda, li ha vissuti nel box.  Passa alla prossima pagina Moto3 e Moto2: dove e quando ci saranno i test 2025 &nbsp; Fausto Ricci: la carriera  Com&rsquo;era il tuo rapporto con i meccanici? &ldquo;Ho quasi sempre avuto la sensazione di lavorare con persone che, di fronte alle mie osservazioni sulla messa a punto, pensavano che le responsabilit&agrave; di eventuali prestazioni &lsquo;cos&igrave; cos&igrave;&rsquo; fossero mie e non del mezzo. Se un compagno di marca era pi&ugrave; avanti, si sentivano legittimati a pensarla in quel modo. Quando rientravo ai box e dicevo che secondo me uscendo da una determinata curva l&rsquo;erogazione non era pulita, non vedevo tanto impegno per risolvere le cose. Negli Anni &rsquo;80 non c&rsquo;erano i video, i dati, n&eacute; figure a bordo pista che osservavano ogni passaggio come succede adesso. Nel team dovevano fidarsi delle mie parole. Ma non lo facevano&rdquo;. Era frustrante? &ldquo;Un atteggiamento del genere contribuisce a un clima non ideale. Anche se chiede qualcosa di apparentemente assurdo, il pilota va assecondato. Poi, magari, il meccanico gioca d&rsquo;astuzia fingendo chiss&agrave; quale rivoluzione e invece lascia tutto com&rsquo;&egrave;. Le due tempi erano molto sensibili, e proprio per questo un buon tecnico poteva fare la differenza. Nonostante lo stesso identico materiale, non era raro notare prestazioni molto lontane fra due moto uguali ma affidate a staff diversi&rdquo;. Di fronte a un problema tecnico, quindi, cosa facevi? &ldquo;Mi adattavo. Penso sia stato il mio pi&ugrave; grande pregio e il peggior difetto, insieme. Saltare da una moto di una marca all&rsquo;altra, per esempio, non &egrave; mai stato un problema. Cambiavo lo stile di guida e via. Se c&rsquo;erano problemi tecnici, cercavo di compensare. Forse proprio per questo non ho alzato la voce quando invece ce ne sarebbe stata la necessit&agrave;&rdquo;. Una delle tue gare migliori: GP Jugoslavia del 1986, con diversi giri in testa. &ldquo;S&igrave;, ma non ero al 100%. Stavo attraversando una stagione complicata. La Dunlop aveva introdotto i pneumatici radiali, con un profilo molto basso e particolare: mi trovavo malissimo con l&rsquo;anteriore, soffrivo di quello che con il tempo si &egrave; iniziato a definire chattering, mentre noi lo chiamavamo semplicemente saltellamento. Entravi in curva con il freno in mano e il davanti iniziava a vibrare, sempre pi&ugrave; forte. Poi, magari, ti mollava senza preavviso. A volte cadevo, altre mi ritrovavo a perdere il ritmo con il passare dei giri. Come in quell&rsquo;occasione, a Rijeka, dove finii quarto&rdquo;. Non era semplice, guidare cos&igrave;. &ldquo;Mi sentivo sempre sul filo del rasoio. La gara successiva, in Olanda, stavo lottando per il podio con Pons ma caddi dopo una decina di giri. Mi si chiuse l&rsquo;anteriore in una destra stretta. Non c&rsquo;era margine, in quei casi: se avevi impostato la curva, dovevi provare a farla, perch&eacute; andando fuori saresti finito sull&rsquo;erba e addio gara. Nelle piste di oggi, dove al posto del prato c&rsquo;&egrave; l&rsquo;asfalto, se esageri puoi raddrizzare, andare lungo e rientrare perdendo poco tempo. Per noi era diverso: a Rijeka negli spazi di fuga ci trovavamo le pietre&rdquo;. Restando al 1986: il tuo problema venne risolto? &ldquo;Mang, che era l&rsquo;unico a usare la combinazione Honda-Dunlop oltre a me, ci riusc&igrave;. Va riconosciuto che era molto esperto e competente dal punto di vista tecnico. Per me invece fu una sofferenza dalla prima all&rsquo;ultima gara, senza mai uscirne. Un incubo. Lui poi nel 1987 pass&ograve; alle Michelin e vinse il titolo&rdquo;. Non mettesti pressione ai tecnici nemmeno in quella situazione? &ldquo;Macch&eacute;, proprio non mi veniva. Ricordo il GP Francia dell&rsquo;anno prima, a Le Mans, dove fui terzo. A fine gara vidi le proteste di Lavado contro il suo team: era parecchio su di giri, la sua Yamaha non era a punto quel giorno e lui, quinto al traguardo, era furioso. Ascoltandolo, pensai che avrei dovuto essere cos&igrave; anch&rsquo;io. Ma avevo un carattere diverso&rdquo;. Gli episodi pi&ugrave; amari? &ldquo;A Jarama, sempre nel 1985, mi dovetti ritirare nel finale perch&eacute; restai senza freni. Non avevano serrato bene le viti che tenevano le pinze sulla forcella. Vibrando, le pastiglie si separavano troppo dai dischi e quando azionavo la leva non erano in posizione. Nel GP successivo, a Hockenheim, il motore mi abbandon&ograve; ancora prima della partenza: si erano dimenticati di mettere l&rsquo;acqua nel radiatore e grippai. Ancora oggi, mi faccio dei problemi nel dire che qualcuno &egrave; stato responsabile di queste leggerezze. Non punto il dito contro nessuno. Altre volte ho sbagliato io, per carit&agrave;&rdquo;. Una domenica in cui le cose andarono bene: Misano 1984, la tua prima gara nel Mondiale. &ldquo;Una battaglia fra me, Massimo Matteoni e Lavado. Mi sentivo bene, stavo comodamente con loro, pronto per le schermaglie finali. Ma nell&rsquo;ultima parte della gara caddero e mi lasciarono campo libero. Ricordo che appena rientrato ai box incrociai il pap&agrave; di Renzo Pasolini, Massimo. Mi disse: &lsquo;Perch&eacute; sei cos&igrave; serio? Ridi, hai vinto!&rsquo;. Ero in sella a una Yamaha. Dalla stagione successiva invece iniziai un triennio sulle Honda&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Fausto Ricci: gli episodi, il rapporto con Lucchinelli  Tu e Lucchinelli eravate gi&agrave; amici? &ldquo;Certo, ci eravamo conosciuti nel 1980 quando correvo nel monomarca Laverda 500. Proprio a Misano, venne a dirmi che l&rsquo;ultima curva la facevamo cos&igrave; forte io, lui e pochi altri. Poi iniziammo a frequentarci. Nel 1982 mi regal&ograve; una maglietta nella quale c&rsquo;era raffigurato proprio lui, in piega con il numero 1 di campione del Mondo. Da quel giorno l&rsquo;ho indossata in tutte le sessioni di prove e le gare della mia carriera, finch&eacute; non l&rsquo;ho quasi distrutta&rdquo;. La lavavi, almeno? &ldquo;Una sciacquata in un secchio fra un turno e l&rsquo;altro, magari. Poi la mettevo ad asciugare a un filo appeso fra il furgone e la roulotte. Con il tempo per&ograve; si &egrave; usurata. Allora la portavo con me in valigia. Ce l&rsquo;ho ancora, &egrave; qui a casa a mia. &Egrave; piena di buchi, non la tiravo fuori da una decina d&rsquo;anni&rdquo;. Avevate caratteri diversi, voi due. &ldquo;A differenza mia, Marco era un estroverso e si faceva sentire. Mi scappa da ridere: se avessero messo nel suo casco un microfono per un sistema di comunicazione con i box, come qualcuno vorrebbe fare ora con i piloti MotoGP, avremmo sentito parecchie imprecazioni&rdquo;. Era normale avere tanti amici fra gli altri piloti? &ldquo;Ve ne racconto una. Acquistavo la mia benzina, con un particolare numero di ottani, all&rsquo;aeroporto di Lugo di Romagna. Una volta, per&ograve;, a Silverstone rimasi senza. Anche l&igrave; c&rsquo;era una pista d&rsquo;atterraggio e cos&igrave; insieme al mio meccanico partimmo in motorino per andare a prendere un po&rsquo; di carburante. L&rsquo;uomo alla pompa, per&ograve;, si rifiut&ograve; di darcela e tornammo indietro con la coda fra le gambe. Ormai arrivati nel paddock incrociammo Barry Sheene, che stava lasciando il circuito sulla sua Rolls-Royce insieme alla compagna Stephanie. Ci fermammo per scambiare qualche parola e scopr&igrave; il mio problema. Allora invit&ograve; il mio meccanico a salire sui sedili posteriori del suo macchinone, tanica inclusa, e si avviarono&rdquo;. Come fin&igrave;? &ldquo;Quando torn&ograve;, non soltanto aveva la benzina, ma non l&rsquo;aveva neppure pagata. Barry Sheene mi fece un gran favore. Tu pensa: un due volte campione del Mondo della classe regina che compie un atto del genere. Poteva fregarsene. E invece&hellip;&rdquo;. Con quale spirito affrontavi le gare? &ldquo;Si parte sempre per vincere. Se non ne sei convinto, meglio stare a casa&rdquo;. Il momento che ti piaceva di pi&ugrave;? &ldquo;Quando calavo la visiera. Da l&igrave; in poi, ero solo con me stesso. Ed era bellissimo&rdquo;.  Outsider di lusso: ecco il team Italtrans 2025 con Moreira e Huertas       

"I tecnici spesso non si fidavano di me. Mi sarei dovuto far sentire, come il mio amico Lucchinelli, che portavo con me in gara"

Fausto Ricci: Se soltanto mi fossi arrabbiato di più...

        Il Mondo va avanti e con lui il progresso. Cos&igrave;, in MotoGP, anche ci&ograve; che sembrava utopia pu&ograve; diventare reale. Come per esempio la comunicazione radio tra pilota, Direzione Gara e, soprattutto, box. Qualcosa che negli anni di Giacomo Agostini o Jarno Saarinen non era nemmeno immaginabile, ma se dalle prime tabelle rudimentali si &egrave; passati a quelle pi&ugrave; moderne e, soprattutto, alle comunicazioni sul cruscotto delle moto (celebre il &ldquo;Mappa 8&rdquo; della Ducati per chiedere invano a Jorge Lorenzo di lasciare strada ad Andrea Dovizioso a Sepang e Valencia nel 2017), &egrave; chiaro come la radio rappresenti il passo successivo nell&rsquo;evoluzione della specie. Non si tratta di un tema cos&igrave; &ldquo;nuovo&rdquo;, dato che non &egrave; emerso per la prima volta nel corso del 2024, tanto che la Dorna lo aveva posto sul tavolo gi&agrave; nel 2020, tornando alla carica ciclicamente per convincere squadre e soprattutto piloti (i pi&ugrave; scettici) a credere in questa innovazione.  Continua nella prossima pagina MotoGP, Ducati spiega la scelta tra Jorge Martin e Marc Marquez &nbsp; I team radio in MotoGP  Un&rsquo;idea che nasce per ragioni di sicurezza: del resto, poter avvisare immediatamente un pilota circa la presenza di un rivale a terra in mezzo alla pista o avvertirlo in merito a una grossa chiazza di olio da evitare sarebbe un passo in avanti. Tuttavia &egrave; breve il passo che porta alla spettacolarizzazione, soprattutto ora che la MotoGP si prepara a diventare &ldquo;hollywoodiana&rdquo; con Liberty Media. E quindi i team radio della Formula 1 potrebbero diventare un obiettivo verso cui indirizzarsi. Inutile nascondersi dietro a un dito: con la crescita esponenziale della F1 negli ultimi anni e il corrispondente calo &ndash; anche se con una successiva ripresa &ndash; della MotoGP post-Valentino Rossi, le due ruote hanno guardato con interesse alle novit&agrave; e alle scelte del paddock delle quattro (in primis le gare Sprint). Ed &egrave; innegabile come una delle fonti di interesse nelle gare di Formula 1 sia proprio la comunicazione tra il pilota e la squadra. Sia per i momenti concitati relativi alla strategia da adottare che per quelli pi&ugrave; &ldquo;di sfogo&rdquo; dei piloti, momenti a uso e consumo del pubblico, che negli anni ha imparato ad apprezzare il Circus anche per questo aspetto. Anche per questa ragione la Dorna ha guardato con interesse all&rsquo;implementazione della comunicazione radio tra piloti e squadre, e ora il percorso tracciato sembra davvero poter condurre verso un risultato tangibile, seppure non nel prossimo futuro. Dalle prime fasi del 2025 la comunicazione radio arriver&agrave; realmente in MotoGP, ma soltanto in forma unidirezionale tra Direzione Gara e piloti, con la prima in grado di inviare messaggi preregistrati a chi guida, in caso di situazioni di pericolo o affini. Un primo passo che al momento si scontra con l&rsquo;avversione di alcuni piloti, i quali rischiano per&ograve; di doversi arrendere alla novit&agrave;. Anche perch&eacute; le sperimentazioni sono andate avanti per tutto il 2024, pressoch&eacute; in ogni sessione di test svolta dalla MotoGP: a Misano, nel settembre scorso, era stato &ndash; insieme con Fabio Quartararo &ndash; Aleix Espargar&oacute; a portare avanti i collaudi. &ldquo;Stiamo cercando di migliorare il sistema, non soltanto in termini di comunicazione ma anche di sicurezza, in caso di caduta. Sono tra coloro i quali hanno spinto per l&rsquo;implementazione della radio ma non &egrave; facile. Dire che questo non &egrave; possibile &egrave; la strada pi&ugrave; facile, ma credo sia pi&ugrave; complicato attivare o disattivare l&rsquo;abbassatore a ogni curva: se cinque anni fa avessimo detto a un pilota che avrebbe dovuto schiacciare un tasto a ogni accelerazione non ci avrebbe creduto. Sar&agrave; divertente, credetemi&rdquo;. Opinione interessante, anche se i panni di promotore dell&rsquo;iniziativa li veste un pilota che non utilizzer&agrave; la novit&agrave; in gara, dato che si &egrave; ritirato. I test sono poi proseguiti a Barcellona, sia nell&rsquo;ultimo weekend di gara della stagione che nella successiva giornata di test. Nel warm up infatti Michele Pirro ha provato la radio con la comunicazione unidirezionale, ma il grande passo in avanti &egrave; stato compiuto nei test, quando il collaudatore Ducati ha provato la comunicazione bidirezionale, parlando durante la guida con Davide Tardozzi. &ldquo;Per quanto mi riguarda &egrave; questione di abitudine &ndash; il suo primo riscontro &ndash; ed &egrave; qualcosa di interessante. Ovviamente in una sessione di test abbiamo potuto parlare sempre, farlo in altre situazioni non sarebbe il massimo. &Egrave; comodo? Diciamo che servono ancora dei passi avanti, per arrivare al punto in cui i fili e tutto il resto non si avvertono&rdquo;. La strada intrapresa sembra quella corretta, e se nel 2025 appare chiaro come la comunicazione unidirezionale far&agrave; il suo ingresso in pista, per il 2026 &ndash; o forse anche prima? &ndash; &egrave; prevista l&rsquo;implementazione di quella bidirezionale. Come detto, per&ograve;, su questo punto lo schieramento dei piloti sembra tutt&rsquo;altro che unito sullo stesso fronte. A fare da contraltare ai pareri pi&ugrave; o meno positivi di Pirro ed Espargar&oacute; c&rsquo;&egrave; infatti il pensiero di un pilota il cui peso specifico potrebbe (e dovrebbe) essere importante, Pecco Bagnaia.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Team radio: Pecco Bagnaia &egrave; contrario  Sia nel settembre che nel novembre scorso, il ducatista si &egrave; detto contrario all&rsquo;implementazione della radio, tanto da sottolineare a Misano: &ldquo;Penso che prender&ograve; una multa in ogni gara, come Michael Jordan a inizio carriera quando utilizzava le scarpe rosse (mentre la NBA imponeva calzature principalmente bianche, nde). Abbiamo gi&agrave; tutto quello che serve per essere avvertiti, e sistemi del genere possono essere anche fonti di distrazione. E noi guidiamo dei mezzi che non consentono distrazioni&rdquo;. Una presa di posizione forte, quella del piemontese, che due mesi dopo &ndash; chiss&agrave; quanto spontaneamente &ndash; ha riprovato il sistema a Barcellona, rimanendo pi&ugrave; o meno della stessa opinione. "Il sistema non &egrave; ancora pronto &ndash; il giudizio lapidario di Bagnaia &ndash; &egrave; fastidioso e non mi piace neppure il modo in cui &egrave; montato, soprattutto perch&eacute; il cavo &egrave; molto ingombrante. Non ho cambiato il mio punto di vista: fino a quando il sistema non sar&agrave; pronto non lo user&ograve;". Per convincere tutta la griglia, o meglio per mettere tutti d&rsquo;accordo, potrebbe quindi servire tempo, ma d&rsquo;altronde tutte le novit&agrave; del recente passato hanno vissuto un percorso tormentato. Basti pensare alle Sprint, imposte dalla Dorna ai piloti e a dir poco bistrattate nei primi weekend di gara del 2023 &ndash; quando generarono caos e purtroppo infortuni &ndash; ma poi interiorizzate e quasi apprezzate da gran parte dei piloti, con Jorge Martin maestro nell&rsquo;utilizzarle per conquistare il primo titolo in MotoGP. Non sappiamo se la comunicazione radio vivr&agrave; la stessa evoluzione, ma sono noti sia il suo arrivo a breve che il risvolto positivo che potr&agrave; avere. Nel processo che porter&agrave; alla finalizzazione del progetto occorrer&agrave; per&ograve; tenere ben presente anche un ulteriore aspetto, ossia che il motociclismo non &egrave; l&rsquo;automobilismo, e questo non cambier&agrave; mai: come accennato anche da Bagnaia, su due ruote il margine di errore &egrave; ancora pi&ugrave; sottile che su quattro, e una possibile fonte di distrazione potrebbe soltanto complicare il lavoro dei piloti, i quali sono gi&agrave; con le mani piene. Ovviamente si &egrave; gi&agrave; pensato di aprire la comunicazione solamente in determinati momenti, come per esempio in rettilineo &ndash; &ldquo;Potrebbe essere complicato ascoltare un membro del team in un curvone veloce&rdquo; ha scherzato a riguardo Quartararo &ndash; ma il punto resta. Non resta che attendere le mosse della Dorna &ndash; e Liberty Media &ndash; impaziente di rendere ancora pi&ugrave; &ldquo;appetitoso&rdquo; il prodotto, anche a costo di sentire qualche mugugno in pi&ugrave; nelle prossime riunioni della Safety Commission, rese gi&agrave; incandescenti dall&rsquo;operato non certo ottimale dello Steward Panel. Ma almeno in questo aspetto, con l&rsquo;addio dell&rsquo;incomprensibile ed evanescente Freddie Spencer e l&rsquo;insediamento di Simon Crafar, si auspica un miglioramento senza riserve: sar&agrave; un modo per &ldquo;addolcire&rdquo; l&rsquo;arrivo della radio ai piloti pi&ugrave; refrattari?  MotoGP, cosa aspettarsi dalla pattuglia italiana       

L&rsquo;idea, per&ograve;, trova &ldquo;ribelli&rdquo; illustri come Bagnaia: "Finch&eacute; il sistema non sar&agrave; pronto, non lo utilizzer&ograve;, a costo di farmi multare"

MotoGP e team radio: l'inizio di una nuova era

        A cavallo tra novembre e dicembre, Jerez ha ospitato la prima edizione dei FIM Intercontinental Games, la sfida a squadre tra sei formazioni, rappresentative dei Continenti: 48 i piloti coinvolti, otto per formazione, met&agrave; nella Supersport 300 con le Yamaha R3 e met&agrave; nella Supersport con le R7, con almeno una donna per team. L&rsquo;Europa ha avuto la meglio con 14 lunghezze di vantaggio sull&rsquo;Asia, grazie ai 46 punti di Elia Bartolini in Supersport, ai 44 di Tomas Alonso e ai 40 di Alessandro Di Persio. Hanno portato punti importanti ai vincitori anche Enzo De La Vega, Josephine Bruno, Gonzalo Sanchez Melendez, Roberta Ponziani e Valentin Folger. Si tratta per lo pi&ugrave; di giovanissimi ed emergenti, non certo nomi noti al grande pubblico. C&rsquo;erano invece piloti leggendari, negli anni Settanta e Ottanta, a dare vita alle avvincenti gare del Transatlantic Trophy, la sfida a squadre che inizialmente vedeva opposti britannici e statunitensi. Dal 1984, con l&rsquo;indebolimento della scuola inglese padrona di casa, la squadra d&rsquo;Oltremanica si allarg&ograve; ai Paesi del Commonwealth, ospitando l&rsquo;australiano Wayne Gardner e il neozelandese Graeme Crosby. L'iride di Tomac | Quella (S)Volta Che Il Transatlantic Trophy  Nel 1988 la competizione cambi&ograve; nome in Eurolantic Challenge e le squadre in campo divennero quattro, due britanniche, una americana e un&rsquo;europea capitanata dallo svedese Anders Anderson: gli altri capitani erano Bubba Shobert per gli Stati Uniti (che beneficiavano anche di quattro canadesi), Ron Haslam per UK 1 e Roger Marshall per UK 2. Il team europeo schierava nomi di secondo piano come i tedeschi Peter Rubatto e Michael Galinski, i finlandesi Jari Suhonen ed Esko Kuparinen, il belga Paul Ramon, l&rsquo;austriaco Hans Lindner e persino l&rsquo;australiano Graeme McGregor. Poca cosa rispetto all&rsquo;inizio degli anni Ottanta, quando l&rsquo;interesse era notevole, cos&igrave; come gli ingaggi. A fare la storia dell&rsquo;edizione 1980, disputata dal 4 al 7 aprile su tre tracciati britannici, fu il diciottenne Freddie Spencer. A Brands Hatch fu il migliore in qualifica e si aggiudic&ograve; entrambe le manche: Kenny Roberts fu terzo in Gara 1 e secondo in Gara 2, davanti a Randy Mamola. Gli USA monopolizzarono il podio anche di Gara 2 a Mallory Park e di Gara 1 a Oulton Park e vinsero tutte e sei le manche: tre Roberts, due Spencer e una Mamola, l&rsquo;unico yankee a servirsi di una Suzuki 653 che altern&ograve; a una 500, mentre le altre stelle optarono per la Yamaha 750. Gli ospiti, vincitori gi&agrave; l&rsquo;anno prima malgrado i tre successi di Barry Sheene, trionfarono con 442 punti, +72 sui rivali. E i tre fenomeni capeggiarono la classifica individuale: 92 punti Roberts, 76 Spencer e 74 Mamola. Ancora pi&ugrave; impressionante lo squadrone che gli USA presentarono nel weekend di Pasqua del 1984, con i primi quattro del Mondiale 500 dell&rsquo;anno precedente: Roberts ed Eddie Lawson con le Yamaha TZR 500, Wayne Rainey con la TZ 500, Spencer (nella foto di copertina) e Mamola con le Honda NS 500, Mike Baldwin e Wes Cooley con le Honda RS 500: la versione motociclistica del Brasile calcistico del 1970 che schierava cinque numeri 10 guidati da Pel&egrave;. Nove le gare corse, a Donington, ma Rainey le salt&ograve; per un infortunio in prova mentre Spencer cadde dopo aver vinto due manche fratturandosi entrambi i piedi. Anche Ron Haslam fin&igrave; a terra e cos&igrave; la Honda viet&ograve; ai suoi piloti le gare extra-calendario. Mamola colse tre successi e Roberts l&rsquo;ultimo round con gli USA che quasi doppiarono i padroni di casa: 259 punti a 136. Anche con alcuni membri a mezzo servizio, quella squadra era ingiocabile. MotoGP, Bagnaia battuto ma con pi&ugrave; GP vinti | Quella (S)Volta Che       

A inizio anni &lsquo;80 la manifestazione consent&igrave;cagli Stati Uniti di schierare una squadra imbattibile: Roberts, Spencer, Lawson, Mamola e Rainey...

Il team dei marziani al Transatlantic Trophy | Quella (S)Volta Che

        Per esplorare il museo dedicato a Franco Uncini &egrave; consigliabile affidarsi ai sensi. Olfatto, perch&eacute; le stanze della Villa Colloredo Mels Recanati sono pregne di storia a due ruote e non soltanto, il cui aroma si respira a pieni polmoni. Tatto, poich&eacute; &egrave; possibile toccare con mano trofei, tute in pelle, caschi e oggetti personali del campione del Mondo 500 edizione 1982. Vista, poich&eacute; gli occhi hanno l&rsquo;imbarazzo della scelta su cosa ammirare. Udito, nella piacevole chiacchierata condivisa assieme all&rsquo;ex pilota, manager e responsabile sicurezza per IRTA e FIM, capace di raccogliere successo in ogni mansione. Tra una foto e l&rsquo;altra, sfiorando l&rsquo;iconica Suzuki Gamma, abbiamo avuto la sensazione di gustare spumante e champagne sorseggiati sui podi iridati da un appassionato che segue ancora le corse come se fosse la prima volta: &ldquo;Questa stagione MotoGP &egrave; stata combattutissima &ndash; attacca &ndash; tra Martin e Bagnaia l&rsquo;atteggiamento &egrave; stato diverso. Lo spagnolo reagisce con nervosismo agli errori commessi, come abbiamo visto a Misano: ha sbagliato tattica, cambiando moto e gomme credendo che avrebbe piovuto. Se l&rsquo;&egrave; presa parecchio, smaltendo la delusione con il tempo. Pecco &egrave; capace di mantenere uno stato di freddezza anche nei momenti pi&ugrave; duri: dopo la Sprint di Sepang sembrava spacciato, ma domenica si &egrave; aggiudicato alla grande il Gran Premio&rdquo;.  Ducati VS Aprilia: sar&agrave; una MotoGP 2025 tutta italiana? Martin e Bagnaia visti da Franco Uncini  Attitudini opposte, diventate per&ograve; simili. &ldquo;Un po&rsquo; s&igrave;. Pecco gestisce egregiamente la pressione e risolve bene i problemi. Negli anni ha trovato un invidiabile equilibrio, che lo porta a sopportare tutto. Lo stesso Martin &egrave; maturato, dopo che lo scorso anno aveva patito la pressione del risultato molto pi&ugrave; di Bagnaia. Pecco nel 2023 si &egrave; rivelato differente, sopra le parti. Oggi abbiamo un Martin attento, che sa commisurare rischi e momenti in cui accontentarsi. In Malesia ha fatto proprio cos&igrave;&rdquo;. Martin ha dichiarato che potrebbe portare il numero 1 in Aprilia. &ldquo;Sapete cosa? Ripeterebbe quanto fatto da Marco Lucchinelli: si impose nel 1981 con la Suzuki, port&ograve; con s&eacute; la tabella pi&ugrave; ambita in Honda. La notizia fu incredibile, per&ograve; il dato pi&ugrave; bello per me fu batterlo nella stagione successiva, proprio con una Suzuki&rdquo;. Tu e Lucky, cos&igrave; simili, eppure cos&igrave; differenti: c&rsquo;&egrave; una rivalit&agrave; del genere nel presente della MotoGP? &ldquo;Potrebbe esserci nel 2025 con Bagnaia e Marc Marquez ufficiali Ducati. A differenza di Pecco, se mi avessero proposto Lucchinelli, io avrei fatto di tutto per evitare di averlo al mio fianco: avrei polemizzato abbastanza sull&rsquo;eventuale ingresso di Lucchinelli e, se conosco bene Marco, sono certo che lui stesso avrebbe detestato l&rsquo;idea. Bagnaia invece non si &egrave; scomposto pi&ugrave; di tanto, per&ograve; dovremo vedere cosa succeder&agrave; l&rsquo;anno prossimo, e poi commentare&rdquo;. Martin con l&rsquo;Aprilia potr&agrave; ottenere grandi risultati? &ldquo;Sicuramente. Anche l&rsquo;Aprilia ha conseguito ottimi risultati e penso che nel 2025 potr&agrave; fare anche meglio. Martin con la RS-GP potr&agrave; dire la propria in tante gare. Magari risponder&agrave; allo strapotere Ducati&rdquo;. La KTM oggi non raccoglie quanto seminato. E domani? &ldquo;La KTM &egrave; andata bene, ma dovr&agrave; fare benissimo, schierando bei piloti. Pedro Acosta ha dimostrato quanto sia importante avere un anno a disposizione per crescere in MotoGP: sar&agrave; uno dei protagonisti del 2025, anche perch&eacute; inserito nel team ufficiale. Brad Binder risponder&agrave;. Il sudafricano &egrave; da tenere d&rsquo;occhio, al pari di Maverick Vi&ntilde;ales e dello stesso Bastianini&rdquo;. Honda e Yamaha hanno speranze di risalita in tempi brevi? &ldquo;Mai avrei immaginato che le Case europee potessero palesare un tale vantaggio sulle rivali giapponesi. La d2ifferenza odierna &egrave; abissale. La Yamaha, se ottiene qualcosa, ci riesce soltanto grazie al fenomenale Fabio Quartararo. La Honda &egrave; proprio persa, smarrita. Marquez ha dimostrato che senza di lui, la Honda &egrave; orfana. Magari le due Case stanno gi&agrave; lavorando in ottica 2027, per&ograve; di mezzo ci sono 2025 e 2026&hellip; Se mi trovassi all&rsquo;interno delle due situazioni, proporrei strade parallele: sviluppo sulla mille, e pi&ugrave; ricerca sulla nuova 850. Anche se, mi rendo conto, con la doppia corsa a weekend non &egrave; semplice pensare a tutto&rdquo;.  Franco Uncini: "Liberty Media, benvenuta"  Le Sprint, dapprima criticate, sembrano adesso indispensabili. &ldquo;Sono d&rsquo;accordo, anzi: sento un feedback del pubblico favorevole al nuovo format. Garantendo agli appassionati due gare diverse, la gente &egrave; attratta. Mentre in SBK non si sa chi ha vinto, in MotoGP il carattere delle due corse sancisce il vincitore. Nella Sprint si d&agrave; il massimo, mentre domenica ci sono in calcoli di gomme e benzina. Il successo &egrave; attribuibile alla Dorna, la gente ne &egrave; felice&rdquo;. Dorna che sta per lasciare le redini a Liberty Media. &ldquo;Benvenuta Liberty Media. In Formula 1 hanno dimostrato di saper fare un eccellente lavoro. Stefano Domenicali &egrave; strepitoso: dove &egrave; andato, tutto &egrave; cresciuto a dismisura. Lamborghini, Mugello, F1. C&rsquo;&egrave; lui dietro Liberty Media, e far&agrave; bene anche in MotoGP. La scelta di mantenere gli Ezpeleta &egrave; valida, se oggi siamo a questo livello e grazie a Carmelo, e Carlos &egrave; il giusto erede. La MotoGP, esplosa grazie a Carmelo, &egrave; instradata verso un futuro di successo&rdquo;. Vero, ma nel 2022 ci fu il calo dopo il Covid e il ritiro di Valentino Rossi: com&rsquo;&egrave; la situazione attuale? &ldquo;Impossibile nascondere la mancanza di Valentino tra il pubblico, nel paddock e in gara. Quel pubblico &egrave; andato via. Ora per&ograve; tanti tifosi stanno tornando, perch&eacute; ci si &egrave; accorti che le gare sono belle anche senza Valentino. I piloti forti ci sono, tra cui Bagnaia, magnifico nel Made in Italy costituito da un pilota unico nel suo genere e dalla Ducati, protagonisti del cambiamento d&rsquo;epoca&rdquo;. Altro cambiamento: Freddie Spencer lascer&agrave; il posto a Simon Crafar. &ldquo;Ruolo molto delicato quello del presidente dello Steward Panel. Conosco bene Freddie: nel 1982 lottammo testa a testa, nelle cinque gare che vinsi, Spencer giunse in tre occasioni alle mie spalle. Mi dispiace per le critiche che ha ricevuto: nel suo ruolo succede di far contente 10 persone, scontentandone contestualmente 100. Lui sa ci&ograve; che fa: avendo a disposizione tante telecamere, immagini e angolazioni, pu&ograve; giudicare al meglio. Spesso &egrave; criticato, credo se ne vada poich&eacute; &lsquo;saturo&rsquo;&rdquo;. Il tuo museo &egrave; pieno di riconoscimenti, tra cui l&rsquo;inserimento nella MotoGP Hall of Fame: sei una Leggenda. &ldquo;L&rsquo;emozione incredibile dei primi tempi &egrave; rimasta. Una volta lasciato il ruolo di FIM Safety Officer, faccio tre-quattro gare l&rsquo;anno in qualit&agrave; di FIM Appeal Steward. La bellezza di tornare &egrave; quella di un pesce fuori dall&rsquo;acqua che rientra nel suo habitat naturale. Il pesce rimane fuori ma, quando viene rimesso nell&rsquo;acqua, prova un senso di gioia ritrovato. Io mi sento cos&igrave;&rdquo;.  MotoGP Test Barcellona, Vinales: "KTM? Ho capito perch&eacute; perdevo tante posizioni al via"       

L'intervista esclusiva al campione del Mondo 1982 della classe 500: "Il merivo va a Martin e al simbolo del Made in Italy Bagnaia, ma non soltanto"

Franco Uncini: "L'attuale MotoGP è bellissima, le Sprint un'idea vincente"

        Il week-end di gara di Misano 2 non &egrave; stato tra i pi&ugrave; facili per Aleix Espargar&ograve;, dodicesimo nella gara Sprint del sabato e ottavo nella gara lunga, sintomo di un'Aprilia che sta faticando a restare in scia alla Ducati e di uno stesso Espargar&ograve; apparso ultimamente poco brillante. A prescindere dal difficile periodo dal punto di vista dei risultati, lo spagnolo non ha perso la sua consueta schiettezza, esponendo il suo punto di vista sul contatto avvenuto durante la gara tra Enea Bastianini e Jorge Martin, che ha successivamente portato il primo a trionfare. Un sorpasso a dir poco aggressivo che ha diviso l'opinione generale e che fa riemergere, secondo Espargar&ograve;, i limiti e gli errori della direzione gara, nel nome, specialmente, di Freddie Spencer.&nbsp;&nbsp; Sfide Red Bull: Marquez impenna con il Ciao Il pilota Aprilia &egrave; certo: "Sono preoccupato per il messaggio che viene mandato" Lo spagnolo del team ufficiale Aprilia ha nuovamente condannato l'incoerenza decisionale della commissione gara, in questo caso rea di non aver sanzionato Bastianini, colpevole di aver toccato e conseguentemente spinto Martin: "Non so cosa stiano facendo i commissari, non ho parole. Un pilota ha toccato un altro ed entrambi sono andati fuori pista tuttavia nessuno si &egrave; preoccupato di indagare.&nbsp;Sono preoccupato per il messaggio che stanno mandando a tutti i piloti. In pratica ci dicono che si pu&ograve; fare tutto quello che si vuole, anche far uscire di pista un avversario. E&rsquo; pericoloso. I commissari sono incompetenti&rdquo;. Queste le dure parole dello spagnolo rivolte ai commissari di gara e riportate da Motorsport.com. Interessante, infine, quanto concerne la visione di Simon Crafar, che nel 2025 prender&agrave; il posto di Freddie Spencer a capo della direzione gara. Secondo quanto riportato da FormulPassion, il giornalista Abad ha raccolto l'opinione di Crafar in merito all'episodio avvenuto da Bastianini e Martin. L'ex pilota neozelandese si sarebbe esposto circa la non punibilit&agrave; di Bastianini in virt&ugrave; del fatto che la manovra &egrave; stata compiuta nell'ultimo giro di gara.  Quartararo: "S&igrave; a Yamaha dopo 3 ore di domande. Matrimonio? Sono da anni '60"       

Il pilota Aprilia si &egrave; esposto circa il contatto avvenuto in gara a Misano tra Bastianini e Martin, puntando il dito contro la direzione gara

A.Espargarò non le manda a dire: "Commissari incompetenti, così è pericoloso"

        C&rsquo;era un odore pungente, nel casco di Ron Haslam, il giorno in cui colse il miglior risultato nel Motomondiale. Pioveva, ad Assen, e sul lato interno della sua visiera era stata passata una patina di detersivo liquido per i piatti. Combinata al nastro americano che si era appiccicato fra il naso e la mentoniera, la mossa rappresentava una soluzione antiappannamento per nulla scientifica, ma nel 1985 si faceva cos&igrave;. In Olanda l&rsquo;allora ventinovenne si schier&ograve; in seconda fila, nelle narici un mix di aromi chimici di cui presto non si sarebbe curato pi&ugrave;, focalizzandosi sulla gara. In griglia era fiducioso, perch&eacute; nei precedenti tre anni si era affermato come un maestro delle partenze: il pi&ugrave; efficace di tutti nel mettersi davanti e tirare il gruppo della classe regina nei primi giri, anche se poi perdeva immancabilmente terreno e veniva risucchiato. A met&agrave; anni &rsquo;80 si partiva ancora a spinta, il motore spento e la prima ingranata, tutta la forza nelle gambe, la leva della frizione da mollare al momento giusto, con l&rsquo;esatta dose di gas. Pronti via, le gocce di pioggia a puntinare il cupolino. E subito una piccola sorpresa, perch&eacute; a mettersi davanti fu Randy Mamola, sottraendo per una volta a Rocket Ron il ruolo di lepre. Venti giri pi&ugrave; tardi la vittoria and&ograve; allo statunitense, mentre l&rsquo;inglese raccolse l&rsquo;unico argento di una carriera che conferma una delle pi&ugrave; affascinanti dinamiche del tifo sportivo, in cui vincere non &egrave; la sola strada per farsi amare dal pubblico. Pi&ugrave; che per i crudi risultati, Haslam ha saputo catturare l&rsquo;attenzione con il look, lo stile di guida, la dedizione e i lampi di prestazione. Chioma da rockettaro e basette che manco Elvis, port&ograve; in pista prototipi audaci negli azzardi tecnici e nel design: su tutti le Elf, finanziate dal colosso francese del petrolio e pronte a snobbare la tradizione per sposare la sperimentazione, come la forcella anteriore sostituita da soluzioni tecniche che sembravano provenire dalla NASA. Il britannico ha vestito sia i panni del pilota che quelli del collaudatore (anche della Norton-Wankel), in una parabola da oltre 100 GP decollata con la Honda e transitata pure nelle orbite Suzuki e Cagiva. Nei box dei marchi giapponesi fece i conti con compagni di marca scomodi, Freddie Spencer e Kevin Schwantz, riferimenti assoluti capaci di creare pi&ugrave; di un grattacapo a un pilota che fra stimoli e frustrazioni &egrave; stato spesso fedele a una teoria di base: quando le cose vanno bene, basta lasciarle andare. Toccando niente. Senza cercare troppi perch&eacute;.  Passa alla prossima pagina SBK, Carl Fogarty: "Ero amato perch&eacute; la gente si rivedeva in me" &nbsp; Storie Sprint, Ron Haslam: l'intervista  La tua gara migliore &egrave; stata quella di Assen, con il secondo posto dietro Mamola sul bagnato? &ldquo;Non credo. Bisogna riavvolgere il nastro di quasi un anno, fino al GP Svezia del 1984. L&igrave;, fin dalle prove, mi veniva tutto facile. Voglio dire, sebbene non mi sembrasse di fare nulla di speciale, e senza cambiamenti radicali sulla moto, ero molto veloce. Siglai la pole e in gara scappai con facilit&agrave;: dopo una decina di giri avevo fatto il vuoto, dietro di me gli inseguitori avevano un ritardo che corrispondeva pi&ugrave; o meno all&rsquo;intero rettilineo principale. Ma la temperatura della mia Honda inizi&ograve; a salire e di conseguenza perse potenza. Dovetti alzare bandiera bianca&rdquo;. Tanta rabbia? &ldquo;Direi piuttosto delusione, perch&eacute; mentre guidavo pensavo proprio che sarebbe stata la volta buona. Non feci scenate: gli uomini della Honda, ai box, erano tristi quanto me. Si scusarono pi&ugrave; e pi&ugrave; volte&rdquo;. Venivi da un terzo posto e, dopo quell&rsquo;inciampo, mostrando comunque di che stoffa eri fatto, ne conquistasti un altro: eri in forma. &ldquo;Quei due podi arrivarono a Silverstone, la mia gara di casa, e al Mugello. Ero in palla e stavo migliorando, considerando che eravamo a fine stagione e nei round precedenti raramente ero sceso sotto la quinta posizione. Quando inizi&ograve; il 1985, rinvigorito dai risultati, pensavo non soltanto di essere pronto per ottenere la prima vittoria, ma anche di lottare per il titolo&rdquo;. Invece? &ldquo;Non and&ograve; cos&igrave; e non so esattamente il motivo. Essere il compagno di marca del pi&ugrave; in forma del momento, Spencer, di certo aveva un impatto. Nell&rsquo;85 fece doppietta vincendo il campionato sia in 250 che in 500, l&rsquo;unico a conquistare due titoli nel Motomondiale nello stesso anno in quelle categorie. La sua superiorit&agrave; non mi ha mai demotivato, per&ograve;. Ogni mattina, a casa, mi svegliavo e pensavo a come allenarmi in palestra per assecondare le mie esigenze fisiche, per esempio rafforzare le braccia o lavorare sul fitness generale. Era l&rsquo;atteggiamento di uno che vuole dare battaglia, questo, non di un rinunciatario&rdquo;. Di Spencer cosa ti impressionava? &ldquo;La naturalezza. Probabilmente provava la stessa sensazione che avevo avvertito io in Svezia quando stavo dominando e mi veniva tutto facile. Secondo me conferma una teoria: quando le cose girano per il verso giusto, basta lasciarle andare. La cosa pi&ugrave; impressionante di Freddie riguardava il controllo del freno anteriore nell&rsquo;ultimissima parte dell&rsquo;ingresso in curva, quando hai ancora la leva in mano. Aveva una sensibilit&agrave; senza pari, mai vista in nessun altro. A volte riusciva a lasciare delle tracce nere sull&rsquo;asfalto con la gomma davanti, tanto era efficace e al limite. &Egrave; una cosa super rischiosa da fare, perch&eacute; se non sei perfetto finisci a terra di colpo, senza avvertimenti&rdquo;. Passa alla prossima pagina &nbsp; Ron Haslam: i rivali, le moto, le partenze  Voi due avete corso sia con la NS 500 a tre cilindri che con la NSR, che montava un V4. &ldquo;Gi&agrave;, ma la prima versione della quadricilindrica non era nata nel modo giusto. Nel tentativo di abbassare il baricentro, il serbatoio era stato collocato sotto al motore, mentre le marmitte passavano sopra. Era pi&ugrave; potente della V3, ma in termini di maneggevolezza, velocit&agrave; in curva e guidabilit&agrave;, era peggiore&rdquo;. Nel 1985, al Mugello, uno dei tuoi soliti start: scattasti come una scheggia dalla seconda fila passando in mezzo ai due ufficiali Yamaha, pochi centimetri fra le estremit&agrave; dei vostri semimanubri, da una parte e dall&rsquo;altra. Eri cos&igrave; bravo e costante che dopo un po&rsquo; inizi&ograve; ad apparire come un copione gi&agrave; visto: scattavi in testa, ma poi perdevi terreno. &ldquo;Credo che le ragioni vadano ricercate nei miei inizi. Quando avevo cominciato a correre, all&rsquo;et&agrave; di 15 anni, guidavo una Norton Commando 750. Era una bicilindrica a quattro tempi molto pesante. Probabilmente mi ero abituato al peggio e con le 500 due tempi avevo vita facile&rdquo;. Ti scoraggiavi, quando dopo qualche giro gli avversari ti riprendevano? &ldquo;Partire bene &egrave; positivo, ma ti mette anche in una situazione di svantaggio. Sulla tua schiena spunta un bersaglio gigante. Sei nel mirino di tutti. Inoltre, offri agli altri un riferimento: inseguendoti e studiandoti possono capire qualcosa di utile per essere pi&ugrave; veloci&rdquo;. Il 29 marzo 1987 ci fu la prima partenza con il motore acceso, dopo lo stop alla soluzione precedente. In molti si domandarono se Haslam sarebbe partito davanti anche cos&igrave;. &ldquo;Risposta affermativa. Scattai dalla seconda fila e andai in testa&raquo;. In quella gara, a Suzuka, correvi con i colori della Elf, che di prassi schierava un suo prototipo, ma eri in sella a un&rsquo;altra moto. &laquo;Era il mio secondo anno, nell&rsquo;ambito di quel progetto. La nuova 500 non era pronta e per contratto, nel frattempo, potevo gareggiare con una Honda. Nelle prime otto gare non feci mai peggio di quinto, con due podi. Ma poi quelli della Elf decisero di chiudere l&rsquo;anno con la loro moto e i risultati calarono. Finii l&rsquo;annata in quarta piazza&rdquo;. La Elf era una moto decisamente strana da vedere: le forme pulite e filanti, ma soprattutto la presenza di un forcellone all&rsquo;anteriore, anche monobraccio, e un generale rifiuto di ci&ograve; che era convenzionale. &ldquo;Era un mezzo radicalmente diverso da tutto il resto. Fra Honda e Yamaha c&rsquo;erano differenze, ma il concetto di base era lo stesso. Nella Elf, invece, era tutto stravolto. Di bello c&rsquo;era che le possibilit&agrave; di regolazione, nella messa a punto, erano veramente ampie. E ci&ograve; era molto stimolante per chi come me collaudava, perch&eacute; era pi&ugrave; facile capire dove c&rsquo;era del potenziale&rdquo;. Cosa funzionava meglio? &ldquo;Penso che il forcellone monobraccio posteriore sia stata la soluzione pi&ugrave; azzeccata. Nonostante fosse un concetto nuovo, funzion&ograve; come quello tradizionale in poco tempo. Forse non era meglio, ma nemmeno peggio. E aveva potenziale&rdquo;. La principale pecca? &ldquo;Il forcellone all&rsquo;anteriore: era troppo pesante&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Ron Haslam, Schwantz, i fratelli  Nel 1989 andasti alla Suzuki accanto a Schwantz, che quell&rsquo;anno era in gran spolvero: ottenne sei vittorie in 15 gare, mai peggio di secondo quando vide la bandiera a scacchi. &ldquo;Dopo aver corso con una moto unica come la Elf, avevo bisogno di tempo per adattarmi. La RGV era fatta su misura per Kevin, cucita attorno a lui, per valorizzarne le caratteristiche di guida. Voleva una moto con cui tenersi stretto in inserimento, voltare secco e accelerare forte. Le traiettorie normali, che idealmente ti vedrebbero entrare largo, poi stringere cercando la corda e uscire, non rendevano. Impiegai tutta la stagione per capirlo. Con la Suzuki dovevo entrare stretto e sfruttare la capacit&agrave; della RGV di girare di colpo, in poco spazio. Ne ebbi la conferma nelle fasi iniziali di una delle ultime gare, quando superai quattro piloti in una curva sola. Il primo all&rsquo;esterno, il secondo all&rsquo;interno, il terzo all&rsquo;esterno e l&rsquo;ultimo ancora all&rsquo;interno. In vista del 1990, galvanizzato perch&eacute; mi ero parecchio avvicinato a Kevin, pensavo di poter fare bene. Ma non mi rinnovarono&rdquo;. In questo caso hai fornito una spiegazione puntuale e ragionata: davvero quando le cose andavano bene non cercavi il motivo? &ldquo;&Egrave; cos&igrave;. Ma attenzione: non voglio dire che guidavo come al solito e non c&rsquo;erano ragioni. Quella era soltanto la mia impressione. In realt&agrave;, quando sei estremamente a tuo agio probabilmente ti comporti in modo diverso. Ma non te ne accorgi. &Egrave; l&igrave; il punto&rdquo;. Hai perso due fratelli nelle competizioni, uno in moto e l&rsquo;altro con il sidecar. Hai anche gareggiato e vinto al Tourist Trophy, la corsa stradale pi&ugrave; celebrata, ma anche fra le pi&ugrave; rischiose. Il motociclismo era uno sport pieno di insidie ai tuoi tempi: questo aspetto ti influenzava? &ldquo;Agli alti livelli, non credo che i piloti sentano il pericolo. Per quanto mi riguarda, credevo cos&igrave; tanto in me stesso, cio&egrave; nell&rsquo;essere capace di non commettere errori, che pensavo di avere effettivamente questa abilit&agrave;. Ripensandoci adesso, le cose stavano diversamente. Ma il lato pericoloso delle corse, semplicemente, io non lo vedevo. Era una questione di fiducia. Credi in te stesso e pensi che non sbaglierai mai&rdquo;. MotoGP, Di Giannantonio: "Dall'Igna &egrave; un genio. Gli sono grato"       

L'intervista per "Storie Sprint": "Vi racconto tutto. Honda, Suzuki, Schwantz, la Elf con il forcellone anteriore, le partenze a spinta"

Ron Haslam: "Persi due fratelli in gara, ma io non vedevo il pericolo"

        La MotoGP si appresta a tornare in pista e lo far&agrave; in Austria, sul circuito del Red Bull Ring, tracciato che dall'anno della sua introduzione in calendario nel 2016, ha visto trionfare quasi sempre la Ducati, con l'unica eccezione targata Brad Binder e KTM (2021). La moto di Borgo Panigale anche quest'anno resta la favorita per monopolizzare il podio, per competitivit&agrave; e conformazione del layout, in grado di esaltare particolarmente il potenziale Ducati. L'edizione 2024 sar&agrave; l'occasione per Pecco Bagnaia per cercare di conquistare il terzo sigillo consecutivo dopo le affermazioni del 2022 e 2023, andando cos&igrave; a diventare il pilota pi&ugrave; vincente di sempre al Red Bull Ring eguagliando Andrea Dovizioso. MotoGP, Bagnaia: "Marquez nel box? Sar&agrave; un successo o un disastro" Amdrea Dovizioso il pi&ugrave; vincente al Red Bull Ring Con le tre vittorie maturate nel 2017, 2019 e 2020, Andrea Dovizioso &egrave; al momento il pilota pi&ugrave; vincente di sempre al Red Bull Ring, precedendo Bagnaia, come detto a quota due trionfo, e poi Jorge Lorenzo, vincitore nel 2018, Andrea Iannone, nel 2016 e infine Brad Binder, vittorioso nel 2021. Il GP d'Austria &egrave; tornato in calendario nel 2016 dopo una lunga assenza durata 19 anni mentre per individuare la prima edizione bisogna risalire al 1971 quando si corse sul circuito del Salzburgring.&nbsp;Il circuito, situato presso Salisburgo, vede una serie di nomi leggendari tutti appaiati a quota tre successi.&nbsp; Su tutti Giacomo Agostini, vincitore di tre delle prime quattro edizioni e perci&ograve; nel 1971, 1972 (in sella alla MV Agusta davanti rispettivamente a Keith Turner e Guido Mandracci) e nel 1974 con Yamaha su Gianfranco Bonera. Anche Kenny Roberts vanta tre vittorie, ottenute nel 1978, 1979 e 1983 ai danni di Jonny Cecotto, Virginio Ferrari ed Eddie Lawson. A quota tre vittorie anche altri due americani: Eddie Lawson, vincitore nel 1984 su Freddie Spencer, nel 1986 su Wayne Gardner e nel 1988 su Didier De Radigues; e Kevin Schwantz, autore di tre successi nel 1989, 1990 e 1994, rispettivamente su Eddie Lawson, Wayne Rainey e Mick Doohan. Anche l'australiano rientra in questa speciale e peculiare classifica, grazie alle tre affermazioni maturate nel 1991 su Wayne Rainey, nel 1994 su Kevin Schwantz e nel 1997 su Tadayuki Okada.&nbsp;  Dorna ci ripensa: sar&agrave; di 22 il numero massimo delle titolari MotoGP       

Andiamo a scoprire quali sono i piloti pi&ugrave; vincenti di sempre al Red Bull Ring ed in generale nel GP austriaco

MotoGP Austria: Bagnaia in cerca del tris consecutivo e del record di Dovizioso

Enea Bastianini si prende Silverstone, nel weekend in cui il Motomondiale festeggia i 75 anni di storia: con il casco dedicato a Mike Hailwood e la Ducati con la livrea della prima MotoGP di Borgo Panigale (in mezzo a carene storiche come Sole e Luna di VR46, la versione Freddie Spencer per la Honda e l&#39;omaggio a Max Biaggi per l&#39;Aprilia), il riminese si aggiudica Sprint e gara, davanti a Jorge Martin. Una coppia accomunata dall&#39;imminente addio alla Ducati, mentre il du ufficiale 2025 - Pecco Bagnaia e Marc Marquez - cade nella Sprint e arriva alle spalle del duo di testa nel GP. Martin ora &egrave; in vetta al Mondiale con tre punti su Bagnaia.&nbsp;    La classe regina guarda al 2025 con un mercato che va verso la definizione degli ultimi tasselli. Il Team VR46 diventer&agrave; la squadra satellite di riferimento della Ducati, con Fabio Di Giannantonio che ricever&agrave; la GP25 e Franco Morbidelli che continuer&agrave; sulla GP24. La Honda dovrebbe completare il quartetto di piloti con Somkiat Chantra al posto di Taka Nakagami, mentre Ai Ogura &egrave; diretto verso Aprilia-Trackhouse. La Yamaha conferma Alex Rins e deve annunciare i piloti del Team Pramac: uno sar&agrave; Miguel Oliveira.&nbsp;    Dal Motomondiale al CIV&nbsp;  La Moto2 vinta da Jake Dixon fa registrare il primo podio italiano della stagione, con il terzo posto di Celestino Vietti Ramus. Nella Moto3, invece, trionfa Ivan Ortol&agrave;, che prevale su David Alonso in un giro finale ricco di colpi di scena. Senza l&#39;infortunato Luca Lunetta, il migliore degli azzurri &egrave; Stefano Nepa, quinto.&nbsp;  Il Campionato Italiano Velocit&agrave; si conferma incerto e spettacolare: a Misano, nella quarta tappa stagionale, non si registrano doppiette nelle cinque categorie. Nella ormai celebre Racing Night del sabato sera, Michele Pirro si mantiene imbattuto nella notturna della Superbike, mentre Leonardo Taccini vince nella Supersport.&nbsp;    Il Dunlop CIV guarda anche avanti, verso un 2025 ricco di novit&agrave;. Uscir&agrave; la classe Supersport 300, con l&#39;ingresso della Sportbike, caratterizzata dalle sportive di media cilindrata, un cambiamento che anticiper&agrave; quanto avverr&agrave; nel Mondiale delle derivate dalla serie. Proprio la Superbike iridata accoglier&agrave; Cremona, impianto che il prossimo anno entrer&agrave; anche nel calendario del CIV. Nel campionato tricolore verr&agrave; poi introdotta la terza manche per weekend, a rotazione per le varie categorie.&nbsp;  L&#39;EnduroGP vive il penultimo weekend stagionale, in Galles, dove l&#39;Italia festeggia il titolo di classe di Andrea Verona (nella E2) e del giovane Manuel Verzeroli nella Youth. Verona, otto allori iridati a soli 25 anni, insegue ora il primato nell&#39;EnduroGP, ma i due quarti posti nel GP Gran Bretagna lo allontanano dal battistrada Josep Garcia, vincitore del Day 2. 

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La newsletter di Motosprint

        Enea Bastianini si prende Silverstone, nel weekend in cui il Motomondiale festeggia i 75 anni di storia: con il casco dedicato a Mike Hailwood e la Ducati con la livrea della prima MotoGP di Borgo Panigale (in mezzo a carene storiche come Sole e Luna di VR46, la versione Freddie Spencer per la Honda e l'omaggio a Max Biaggi per l'Aprilia), il riminese si aggiudica Sprint e gara, davanti a Jorge Martin. Una coppia accomunata dall'imminente addio alla Ducati, mentre il du ufficiale 2025 - Pecco Bagnaia e Marc Marquez - cade nella Sprint e arriva alle spalle del duo di testa nel GP. Martin ora &egrave; in vetta al Mondiale con tre punti su Bagnaia. La classe regina guarda al 2025 con un mercato che va verso la definizione degli ultimi tasselli. Il Team VR46 diventer&agrave; la squadra satellite di riferimento della Ducati, con Fabio Di Giannantonio che ricever&agrave; la GP25 e Franco Morbidelli che continuer&agrave; sulla GP24. La Honda dovrebbe completare il quartetto di piloti con Somkiat Chantra al posto di Taka Nakagami, mentre Ai Ogura &egrave; diretto verso Aprilia-Trackhouse. La Yamaha conferma Alex Rins e deve annunciare i piloti del Team Pramac: uno sar&agrave; Miguel Oliveira.  MotoGP, Moto2, Moto3 e CIV!&nbsp; La Moto2 vinta da Jake Dixon fa registrare il primo podio italiano della stagione, con il terzo posto di Celestino Vietti Ramus. Nella Moto3, invece, trionfa Ivan Ortol&agrave;, che prevale su David Alonso in un giro finale ricco di colpi di scena. Senza l'infortunato Luca Lunetta, il migliore degli azzurri &egrave; Stefano Nepa, quinto. Il Campionato Italiano Velocit&agrave; si conferma incerto e spettacolare: a Misano, nella quarta tappa stagionale, non si registrano doppiette nelle cinque categorie. Nella ormai celebre Racing Night del sabato sera, Michele Pirro si mantiene imbattuto nella notturna della Superbike, mentre Leonardo Taccini vince nella Supersport. Il Dunlop CIV guarda anche avanti, verso un 2025 ricco di novit&agrave;. Uscir&agrave; la classe Supersport 300, con l'ingresso della Sportbike, caratterizzata dalle sportive di media cilindrata, un cambiamento che anticiper&agrave; quanto avverr&agrave; nel Mondiale delle derivate dalla serie. Proprio la Superbike iridata accoglier&agrave; Cremona, impianto che il prossimo anno entrer&agrave; anche nel calendario del CIV. Nel campionato tricolore verr&agrave; poi introdotta la terza manche per weekend, a rotazione per le varie categorie. L'EnduroGP vive il penultimo weekend stagionale, in Galles, dove l'Italia festeggia il titolo di classe di Andrea Verona (nella E2) e del giovane Manuel Verzeroli nella Youth. Verona, otto allori iridati a soli 25 anni, insegue ora il primato nell'EnduroGP, ma i due quarti posti nel GP Gran Bretagna lo allontanano dal battistrada Josep Garcia, vincitore del Day 2. Vieni in edicola e vai nel dettaglio: solo per questa settimana, se compri il giornale troverai al suo interno il poster celebrativo delle vittorie di Bastianini!&nbsp;       

Motosprint &egrave; in edicola dopo il weekend di Silverstone: cronache, interviste e approfondimenti su tutte le classi!&nbsp;

Motosprint n°32 è in edicola: mai domo

La squadra ufficiale della casa di Borgo Panigale omaggia il proprio debutto in MotoGP, richiamando alle livree di Troy Bayliss e Loris Capirossi del 2003

Dalla "Perla Nera" di Aprilia alla Ducati di Loris Capirossi, fino all'omaggio a Valentino Rossi e Freddie Spencer. La MotoGP celebra la propria storia

MotoGP Gran Bretagna: ecco tutte le livree speciali in pista a Silverstone

        Dopo l&rsquo;episodio controverso del WDW con Bulega, Marc Marquez &egrave; pronto a ributtarsi a capofitto sulla MotoGP e sul primo GP post pausa estiva, con tanto di livrea speciale in onore a Fausto Gresini per celebrare i 75 anni del Motomondiale &ldquo;Veniamo da una bella pausa estiva &ndash; esordisce lo spagnolo &ndash; abbiamo avuto tempo per riposarci e ora cercheremo di iniziare la seconda parte di stagione in modo positivo. Silverstone &egrave; un bel circuito, non voglio dire nulla prima di iniziare a guidare perch&eacute; io possa avere delle aspettative su quanto posso fare. Pecco e Martin al momento sono un po&rsquo; pi&ugrave; veloci di noi.&rdquo;&nbsp; Marquez tra il WDW e l&rsquo;incidente con Bulega  Da pilota Ducati del team Gresini, Marc &egrave; stato invitato a partecipare al WDW e contestualmente prendere parte anche alla Race of Champions del sabato, conclusa al terzo posto con un discusso contatto con Bulega all&rsquo;ultima curva dell&rsquo;ultimo giro. &ldquo;E&rsquo; stato il mio primo evento nella famiglia Ducati e Domenicali gi&agrave; mi aveva detto che avrei cominciato a capire cosa significa far parte di Ducati. Ho capito che Ducati non &egrave; solo MotoGP, &egrave; una sorta di filosofia e i Ducatisti ci hanno dato tanto sostegno, hanno fatto un gran tifo per noi e cercheremo di difendere bene quei colori in futuro.&rdquo; Sull&rsquo;incidente con Bulega spiega: &ldquo;Ho provato a fare una cosa che faccio di solito in MotoGP, ma era una moto stradale e non me l'aspettavo quella reazione dalla moto, non sono riuscito a fermarla al meglio. E' stato sicuramente un mio errore.&rdquo; Marquez tra la livrea dedicata a Fausto Gresini e una gara storica  Il team Gresini non &egrave; nuovo a riproporre la livrea dedicata al suo fondatore e in questa occasione dei 75 anni del Motomondiale ha voluto ancora una volta estrarla dal cassetto e ripresentarla per le sessioni della domenica, warm up e gara. &ldquo;Il nostro design &egrave; molto speciale, non &egrave; soltanto retr&ograve;. E&rsquo; del 1987, della moto che guidava Fausto, ha un grande valore emotivo per noi e cercheremo di fare una bella gara domenica.&rdquo;&nbsp; Sulla gara storica dice: &ldquo;Scelgo quella con l&rsquo;ultimo giro a Jerez tra Doohan e Crivill&egrave; nel 1996. Il primo momento nel quale comincio a ricordare qualcosa, specialmente l&rsquo;ultimo giro incredibile con tutte le persone in pista.&rdquo; Il Marquez-pensiero su Simon Crafar  Come &egrave; ormai noto, l&rsquo;ex pilota neozelandese di SBK e Motomondiale Simon Crafar, attualmente pit reporter della MotoGP, dal prossimo anno ricoprir&agrave; il ruolo di capo dello steward panel al posto di Freddie Spencer, criticatissimo per le sue scelte discutibili in fatto di penalit&agrave; ai piloti. &ldquo;Faccio i miei migliori auguri a Simon, gli auguro il meglio. E&rsquo; una posizione difficile, come quella dell&rsquo;arbitro nel calcio. E&rsquo; impossibile accontentare tutti, si tratta della Race Direction e noi dobbiamo adattarci. Se ci saranno regole nuove o le stesse bisogna capire qual &egrave; il limite e come abbiamo visto quest&rsquo;anno sta cambiando un po&rsquo;. Per&ograve; io mi sento a mio agio e penso che la linea sia questa.&rdquo;&nbsp; Marquez sul bis a Misano  Il calendario della MotoGP presenter&agrave; nel mese di settembre due gare a Misano nell&rsquo;arco di due settimane l&rsquo;una dall&rsquo;altra, un ritorno ai tempi del Covid. &ldquo;Sicuramente fare due gare sulla stessa pista non &egrave; il massimo per il campionato, ma era il programma pi&ugrave; semplice o pi&ugrave; comodo per i team e io sono d&rsquo;accordo. E&rsquo; un bel circuito e nella seconda a Misano si batter&agrave; il record sul giro gi&agrave; nelle prime libere.&rdquo;         

"Ho provato a fare una cosa che faccio di solito in MotoGP, ma era una moto stradale e non sono riuscito a fermarla al meglio" dichiara lo spagnolo e poi sul prossimo capo dello steward panel: &ldquo;Crafar? Gli auguro il meglio&rdquo;

GP Silverstone, Marc Marquez: “L'incidente con Bulega al WDW? Un mio errore”

        Eravamo rimasti in Germania, dove Jorge Martin stava dominando il Gran Premio sino all'ultimo giro, per poi cedere a Pecco Bagnaia vittoria e leadership dela MotoGP. Finale infausto per la punta Prima Pramac, che torna sul misfatto tedesco: "Peccato per quella caduta" gi&agrave;, annuivano i giornalisti presenti a Silverstone: "durante la pausa ci ho pensato, analizzando la dinamica, capendo il perch&eacute; dell'errore. Stiamo parlando di dettagli piccoli, ma una cosa &egrave; certa: mica sar&ograve; ossessionato in tal senso, anzi: manterr&ograve; alta l'aggressivit&agrave;". Martin su Crafar: Simon corre ancora, percepisce meglio le dinamiche Pietra sopra sulla Sassonia? Forse s&igrave; per Martin: "In Germania ero il pi&ugrave; veloce, il pi&ugrave; forte. Dentro di me sono perch&eacute; sono andato a terra. Questi errori sono difficili da identificare in gara, quindi continuer&ograve; a guidare come ho fatto per arrivare a questo alto livello". Simon Crafar prender&agrave; il posto di Freddie Spencer. Il cambiamento &egrave; commentato dallo spagnolo: "Simon corre ancora in moto, penso che sappia percepire i vari comportamenti di pista. Lui si interfaccia coi piloti, magari i relativi giudizi risulteranno maggiormente uniformi". Nella pausa estiva, Pecco Bagnaia &egrave; convolato a nozze. Martinator gli dedica un pensiero: "Gli porgo le mie felicitazioni, anche le mie sentite congratulazioni. Ci conosciamo da tempo, sono davvero contento per lui".        

Jorge: "Al Sachsenring ero il pi&ugrave; veloce, ho capito perch&eacute; sono scivolato, perci&ograve; rimarr&ograve; aggressivo. Il matrimonio di Pecco? Congratulazioni"

GP Silverstone, Martin: "La caduta in Germania? Mica è una ossessione"

        Pecco Bagnaia si prepara a tornare in pista in quel di Silverstone, dove cercher&agrave; di allungare il gap in classifica ai danni di Jorge Martin e di conquistare la quinta vittoria consecutiva (che rappresenterebbe un record personale per il campione di Chivasso). L'alfiere Ducati sta attraversando un momento a dir poco positivo su pi&ugrave; fronti, essendo reduce dalle sopracitate vittorie consecutive, dal trionfo al WDW e dal matrimonio con Domizia Castagnini, un momento particolarmente emozionante che lo stesso Bagnaia ha voluto sottolineare: "&Egrave; stato positivo avere avuto una sosta dopo la gara di Germania per riposare un po&rsquo; e soprattutto per sposarmi. Non ho mai pianto come quando ho camminato verso l'altare con mia mamma, ero pi&ugrave; nervoso che in gara. Dopo le nozze ho ripreso ad allenarmi, il giorno del matrimonio &egrave; stato bellissimo; poi c'&egrave; stato il WDW, e per un ducatista non &egrave; facile per un ducatista riposarsi in quel weekend, ad ogni modo spero che i fan di Ducati si siano divertiti e si siano goduti lo spettacolo". Adesso il focus si sposta sulla gara britannica: "Silverstone &egrave; uno dei tracciati pi&ugrave; belli tra tutti, &egrave; lungo e ha poche buche". MotoGP Silverstone, anche quest'anno sar&agrave; un circuito Aprilia? Pecco Bagnaia: "La livrea Yamaha &egrave; bellissima" In occasione del GP d'Inghilterra e per i 75 anni del motomondiale, la MotoGP ha celebrato la ricorrenza attraverso le livree speciali, retr&ograve;, delle varie squadre: "Le livree sono tutte molto belle, nel nostro caso &egrave; difficile vedere una livrea troppo diversa per via degli sponsor, per&ograve; ad esempio la Yamaha e la Honda sono davvero belle, Yamaha soprattutto. Credo che sia per tutti una bella idea e vorrei che ci fossero pi&ugrave; spesso". Bagnaia ha poi speso parole d'approvazione circa la nuova nomina a presidente Steward Panel di Simon Crafar, subentrato a Freddie Spencer: "Il capo steward &egrave; uno dei lavori pi&ugrave; difficili, &egrave; dura fare certe scelte ma con Simon penso si possa avare dialogo e credo si possa seeguire una linea univoca". Bagnaia ed il sogno Suzuka Il tre volte campione del mondo ha confessato di star spingendo per realizzare un suo sogno, ovvero la partecipazione alla 8 ore di Suzuka: "Sto spingendo per andare a Suzuka, so quanto pu&ograve; essere stressante ma amo quel tipo di gare e penso che per un pilota sia un obiettivo da aggiungere, mi piacerebbe correre ma ho anche detto che ci voglio andare per vincere quindi serve la giusta preparazione". Infine, due ultime considerazioni circa l'introduzione in calendario del doppo appuntamento di Misano e sul primo ricordo della MotoGP del passato: "Mi tornano in mente specialmente Valencia 2003 con la Honda con la livrea hippie di Valentino Rossi e Welkom 2004. Sono contento per la doppia gara di Misano dato che &egrave; a 15 minuti da casa mia. L'anno scorso non sono riuscito a godermela al meglio a causa della caduta di Barcellona, perci&ograve; adesso mi si presenta una doppia opportunit&agrave;".  GP Silverstone: l'Aprilia svela la sua livrea retr&ograve;, il ritorno della "Perla Nera"       

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