Indubbiamente alla Suzuki i muscoli piacciono: quelli di moto iper vitaminizzate come le B-King e Hayabusa, e ancora di più – incredibilmente – quelli degli scooter. Forse non è quello che aveva in mente Michio Suzuki quando fondò nel 1909 lo storico marchio che ancora porta il suo nome, forse non è nemmeno ciò che pensavano nel 1951 i progettisti della prima moto di Hamamatsu, la Power Free, una sorta di bicicletta con la trasmissione a rullo e l’economicità come obiettivo primario; eppure sono Suzuki due degli scooter che negli ultimi anni sono stati capaci di lasciare a bocca aperta. Non se ne era mai visto uno di 400 cm3 prima dell’arrivo del Burgman, tanto meno si era visto un 650, grande e grosso più di una moto e col cambio sequenziale.
“BURGMAN”significa cittadino ma le città sono molto diverse l’una dall’altra: a Torino le corsie sono strette e il traffico talmente serrato che uno scooter fatica a muoversi, Milano è caotica e piena di rotaie ma ci sono preferenziali aperte alle due ruote e non alle auto, a Roma il traffico è aggressivo e le strade sconnesse, a Napoli fantasioso, a Bologna abbastanza scorrevole ma nevrotico. A tutte queste situazioni ed a molte altre ancora è ottimistico sperare di dare una risposta sola, magari buona per chi sta nel centro storico come per chi abita trenta chilometri fuori. E allora il Burgman si è fatto in tre, o quattro: una famiglia per tutte le stagioni, dal bicilindrico 650 a lunga percorrenza al 400 che costituisce una buona interpolazione, fino al 125/200, due cilindrate per lo stesso scooter pensato soprattutto per percorsi più tortuosi.
Fosse solo questione di praticità e di logica, per fare la scelta basterebbe analizzare la lunghezza e la velocità media dei percorsi. Ma gli uomini sono più complicati, o fantasiosi, e non si accontentano di risolvere il problema del diporto: il calcolo in una qualche misura deve lasciare spazio al gusto, il mezzo di trasporto dev’essere anche mezzo di divertimento. E allora il confronto in famiglia diventa molto più stuzzicante. Pur sapendo che l’unica conclusione sensata resta sempre e comunque nella testa degli uomini. Diversa per ognuno.
Il fascino dei muscoli in poltrona - Il culturista di famiglia ha la trasmissione automatica e manca di un serbatoio in posizione classica su cui spingere con la gamba; di qui a catalogarlo tra gli scooter però... 282 kg in ordine di marcia, 44,8 CV e 160 all’ora effettivi sono una carta d’identità molto più vicina a una moto. Diciamo la verità: se il Burgman 200 si compra con la ragione, il 650 si compra con il cuore, anteponendo alle considerazioni pratiche l’orgoglio di un mezzo straordinariamente originale. È molto più facile di quanto le sue misure poderose potrebbero lasciare intendere ma resta un giochino che non va preso sottogamba. Soprattutto nel traffico, perché l’inerzia non è quella di uno scooterino, tanto meno l’ingombro che non permette grosse piroette nelle code al semaforo. Ma se si tratta di lunghi viaggi non ce n’è per nessuno, moto comprese. Protettivo come una carrozza chiusa, con la possibilità di regolare anche l’altezza del parabrezza, sella a due piazze e poggiaschiena regolabile, le sospensioni più confortevoli che potreste pensare; e poi una dotazione principesca, dal vano sottosella in cui resta spazio anche con due caschi integrali, alla sfilza di cassettini dappertutto, addirittura si possono avere anche le manopole e la sella riscaldate. In autostrada non c’è confronto per nessuno, tanto più che il suo motore bicilindrico ronfa senza vibrazioni al limite consentito, 130 km/ h, con ancora una bella riserva di potenza nella pancia. Certo è assetato il Burgman 650, 15,1 km/litro: una bella differenza rispetto agli altri due che arrivano a 18,4 km/litro il 400, e addirittura a un miracoloso 26,2 km/litro il 200; ma se si vuole tenere un leone in casa bisogna anche dargli da mangiare. Spinge come un toro il bicilindrico Suzuki, e tira a tutti i regimi, ma concede anche qualcosa allo spettacolo: il variatore fa girare il motore abbastanza in alto e la cavalleria arriva alla ruota un po’ diluita, senza fornire tutta la spinta possibile, almeno fino a quando il Burgman 650 non è lanciato e la puleggia del variatore completamente aperta. Comunque le prestazioni ci sono, eccome:15”44 sui 400 metri è un tempo notevole, in accelerazione. Solo, risulta fastidioso l’effetto on/ off dell’acceleratore che tra le curve porta a qualche sussulto all’apertura, sporcando le traiettorie. Esclusiva del Burgman 650 è anche la trasmissione a tre modalità: si finisce per usare quasi sempre la “normale” che offre l’erogazione più dolce e comunque cavalli in abbondanza; in modalità “Power” il motore viene tenuto 500 giri più in alto e per questo è più aggressivo ma non è cosa di cui si senta grande necessità, su quello che resta uno scooter, o comunque un mezzo da godere ad andatura turistica. Per lo stesso motivo si sfrutta poco il cambio sequenziale: il variatore è già tarato per spremere bene il motore, e poi al momento di scalare marcia, se si tiene lo sguardo sul punto di frenata non è intuitivo trovare il tasto giusto, su una pulsantiera che sembra una calcolatrice. Tra le curve il punto forte del Burgmanone è la stabilità: non ama il lento e la guida sporca perché con sospensioni così confortevoli i trasferimenti di carico sono sensibili; però adottando una conduzione decisa e lineare può riservare sorprese piacevoli, nel veloce e anche nei percorsi tortuosi. L’ultima nota per i freni. Sono pronti, l’anteriore anche potente, e nonostante il peso, gli spazi d’arresto sono più che onorevoli. Il posteriore invece è poco modulabile e per questo insoddisfacente quando tra le curve lo si usa per graduare la velocità tenendo il gas aperto, per lasciar correre lo scooter. Per giunta, dietro l’ABS interviene presto, allungando la frenata.
Il senso dell'equilibrio - Potente quanto serve per viaggiare in autostrada senza fare una grinza, leggero quanto basta per muoversi con disinvoltura in città. Non fosse così lungo il Burgman 400 sarebbe la quadratura del cerchio ma anche così... non ne resta troppo lontano. Dalla sua progettazione è passato qualche annetto e qua e là si avverte, eppure mantiene un equilibrio stupendo, si adatta a tutte le situazioni in maniera formidabile. La posizione di guida è fin troppo comoda, seduta bassa e braccia allungate, pedana alta che invita a stendere le gambe; eppure all’occorrenza il grosso monocilindrico Suzuki si guida che è uno spettacolo, tra le curve e in mezzo al traffico. Il trucco, se lo vogliamo chiamare così, è nel baricentro basso che rende tutto facile; nelle soste è impossibile non arrivare a terra e nel traffico non ci si sbilancia mai, nemmeno a passo d’uomo, nemmeno nei percorsi da labirinto. È lungo, si diceva; ma lo si avverte solo quando le gimkane sono strette davvero, perché maneggiarlo è di una naturalezza sorprendente. E tra le curve si sbatacchia come si vuole, con la tranquillità che viene da una ciclistica sincera. Unica avvertenza, insistere un po’ per fargli prendere la corda, ma nei percorsi misti è piacevole davvero, di gran lunga il più gustoso dei tre, capace di traiettorie tese e precise. Stabile anche, intuitivo, e rapido nelle inversioni di inclinazione; meno nelle curve lente, dove l’interasse si fa sentire. Non dimentica di essere uno scooter, però, e allora le sospensioni sono morbide e per i percorsi sconnessi è una gran bella notizia perché il comfort è di buon livello; i trasferimenti di carico ci sono, ma ragionevolmente controllati, e se anche la forcella “torna” un po’ bruscamente nei cambi di direzione, è problema che infastidisce poco. Il Burgman 400 è anche comodo, una sella che è un sofà e tanto spazio pure in due, scudo largo per una protezione dall’aria di ottimo livello nonostante il parabrezza strettino, e un buon appoggio per la schiena; se si tengono i piedi in posizione classica le ginocchia si avvertono alte, soprattutto sulle lunghe distanze, ma resta la possibilità di allungare le gambe a piacimento, come su una sedia a sdraio. Dove si avverte che il progetto non è recentissimo, a parte alcuni dettagli come il disegno del cruscotto e quello dei comandi, comunque efficienti, è nel motore. Un gran bel motore, intendiamoci, a parlare sono i numeri: 140 all’ora effettivi e 17”31 sui 400 metri non sono così lontani dalle prestazioni del super muscoloso 650 e permettono ben più del diporto. C’è da divertirsi, con la tranquillità di una ciclistica che perdona tantissimo ed è stabile, e il vigore di un motore dall’erogazione ruvida e soggetto a qualche vibrazione giù di giri ma generoso, e con un tiro robusto. Anche se piuttosto assetato. Bene, infine, anche i freni: la sensazione sulle leve non è particolarmente netta, ma comunque lo è più di quelli del 650, e trasmettono una bella impressione di potenza e modulabilità sia davanti che dietro. Gli spazi di arresto in effetti sono buoni, particolarmente in velocità, con il conforto di un ABS davvero efficiente.
La chiave della città - Vogliamo chiamarlo “Burgman d’accesso”? In qualche modo mantiene lo spirito della famiglia ma lo interpreta in chiave più semplice ed economica, con la possibilità di scegliere tra due cilindrate: 125 e 200 cm3. Di base è lo stesso motore ma sono diverse le misure di alesaggio e corsa, e quindi anche albero, cilindro e pistone, per avere qualche cavallo in più e un maggiore tiro ai medi regimi, se si possiedono l’età e la patente per guidarlo. Per la nostra comparativa abbiamo usato il più grosso (di cilindrata) dei due, in una versione accessoriata con tubi paracolpi un po’ ingombranti e un bauletto che ne ha reso smisurate le capacità di carico, già notevolissime per via del grande vano sottosella che come sui Burgman più grandi può accogliere due caschi integrali: da record, per questa categoria. È molto più essenziale degli altri due, il “burgmanino”, e non ha fatto moda quanto il 400, però per un uso a raggio mediocorto non è male davvero: facile facile, riporta ancora più spiccate alcune caratteristiche del 400 come il baricentro molto basso e la sella vicina a terra, le ginocchia un po’ più alte. E un po’ meno spazio per allungarsi. Si guida con dolcezza e senza sforzo, segue i comandi armoniosamente, per nulla nervoso: un buon cittadino che si infila tranquillamente nei passaggi e si muove con disinvoltura un po’ dappertutto. Non ha la personalità degli altri due ma è comodo e molto più intuitivo: la differenza di peso ed interasse si traduce in un comportamento che non arriva ad essere guizzante ma permette di sgattaiolare bene, nonostante non sia cortissimo per essere un 200. E ancora una volta il baricentro basso spiana la strada. Tra le curve non è preciso quanto gli altri due ma rende tutto naturale: facile nell’individuazione della traiettoria, facile da correggere e sufficientemente stabile anche in velocità; non è difficile arrivare a toccare sotto se si insiste nella piega, ma anche questo avviene con estrema naturalezza. Piacevole nella guida, preferisce però fondi non troppo irregolari: a livello di comfort le sospensioni si difendono onorevolmente perché sono morbide ma se l’asperità è spigolosa la risposta si fa più secca, soprattutto quella della forcella; e comunque, per quanto discretamente controllate, non arrivano a quelle dei due Burgman più grossi. Qualche beccheggio è inevitabile. Tutto comunque è ben accordato, comprese le prestazioni del motore: anche in questa versione 200 non è particolarmente pieno in basso, preferisce lavorare un po’ su di giri. Assicura comunque prestazioni soddisfacenti: quasi 120 all’ora e 19” sui 400 metri è più di quanto serva per muoversi brillantemente in città e difendersi fuori; sufficiente anche per l’autostrada, all’occorrenza è un’opzione praticabile. Dove il Burgman 200 lascia di stucco è nel consumo: 26,2 km/litro, come avete già letto. Qui gli altri due Burgman finiscono sbriciolati. E l’altro punto forte è la frenata: il più piccolo dei tre non viene proposto con l’ABS ma è l’unico con il sistema ad intervento combinato, efficacissimo. Lo sforzo sulle leve è contenuto, la progressione buona e la potenza ottima; se anche si esagera è sempre il posteriore a perdere per primo aderenza. E gli spazi d’arresto sono eccellenti, di gran lunga i migliori del gruppo.
L'unica cosa in comune è il costruttore - Nemmeno una vite hanno in comune, i tre Burgman. Troppo diversi nella cilindrata, nelle dimensioni, nel frazionamento; troppo diversi, soprattutto, nella destinazione. Due cilindri e un approccio motociclistico per il 650 che addirittura ha il motore fisso nel telaio; un cilindro solo e il motore che bascula e funge da braccio oscillante per gli altri due. Siamo agli antipodi, del resto il 650 è una quasi moto con tutto quello che ne segue nei pesi e negli ingombri: 282,6 chili e 2260 mm di lunghezza. Però è anche scooter e come tutti gli scooter, compresi i Burgman piccoli, ha i cilindri pressoché orizzontali per lasciare spazio al vano sotto la sella, con solo una lieve inclinazione per consentire il recupero dell’olio. Generalizzate anche scelte come la distribuzione a quattro valvole per cilindro comandata da doppio albero a camme in testa e l’iniezione, soluzioni pressoché obbligate per ottenere potenza e restare nei limiti imposti per l’inquinamento. Piuttosto le differenze emergono nella trasmissione automatica, da sempre un punto critico quando le potenze vanno su. I due monocilindrici hanno uno schema classico, variatore centrifugo con puleggia mobile coassiale all’albero motore, cinghia dentata protetta dal lungo carter trasmissione e sull’asse posteriore la frizione centrifuga; per le potenze e soprattutto per le coppie in gioco non serve di più, anche nel caso del 400 che però, non a caso, ha un blocco frizione decisamente massiccio, visto che è chiamato a sopportare 28,9 CV e 26,9 Nm, contro 15,45 CV e 13,9 Nm del 200. Soluzioni del genere non sarebbero state proponibili anche per il 650, con i suoi 44,8 CV e 44,7 Nm, perdipiù pesi e prestazioni di un bicilindrico richiedono una ciclistica più rigida. Quindi il motore è fisso nel telaio e il sistema variatore-cinghia-pulegge è racchiuso nel carter motore; il movimento alla ruota viene trasmesso da una cascata di ingranaggi alloggiata nel braccio sinistro del forcellone che è a due bracci “veri”, mentre nel 200 e nel 400 sulla destra c’è un braccetto ausiliario. Il 650 ha anche un’altra particolarità, realizzata con l’aiuto dell’elettronica, ed è la possibilità di selezionare tre differenti modalità per la trasmissione: normale, Power che fa lavorare il motore più allegro di 6÷700 giri a seconda delle situazioni, e poi il cambio sequenziale a 6 rapporti, ottenuti per mezzo di un motorino passo/passo che fa avanzare la puleggia mobile a scatti, comandato dalla pulsantiera sul lato sinistro del manubrio. Differenze anche nel sistema della sospensione posteriore: leveraggi ed un unico ammortizzatore orizzontale, sotto lo scooter, per il 400; il 200 e il 650 invece hanno optato per la più tradizionale soluzione a due ammortizzatori, quelli dell’Executive regolabili nel precarico. Per tutti e tre telai a doppia culla sovrapposta che portano a tunnel di rilevante altezza; naturalmente c’è una bella differenza nel dimensionamento, così come sono molto diverse le forcelle, pur essendo tutte e tre teleidrauliche convenzionali; addirittura quella del 650 è a due piastre come quella di una moto, per assicurare rigidità nonostante peso e prestazioni, mente per gli altri due è stata adottata una più scooteristica soluzione ad una piastra sola. In tutti e tre i casi è stato scelto di avere la ruota posteriore di diametro minore di quella anteriore, così da rubare più spazio per il vano, ma sono diverse le misure: 15”/14” il 650, 14”/13” il 400 e un più scooteristico 13”/12” per il 200. Infine i freni: soluzione motociclistica per il 650, comando separato per i due dischi anteriori di 260 mmØ e il posteriore di 250 mm Ø, così come ha i comandi distinti il 400 per i due dischi anteriori di 260 mm Ø e il posteriore di 110 mm Ø. In questa versione hanno entrambi l’ABS, e il blocco di parcheggio; l’unico a non averli è il più economico 200 che però è anche l’unico con il sistema ad intervento combinato, applicato a due dischi di 240 mm Ø, uno davanti e uno dietro.
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