Torino - Le auto non corrono più sul tetto del Lingotto. Il vecchio stabilimento della FIAT è diventato un centro multifunzionale con uffici, negozi, un ristorante di lusso. Ma da quella che fu la pista di prova delle auto uscite dalle linee di montaggio, il traffico soffocante di Torino appare piccolo e lontano, metafora di quanto il nuovo Majesty 400 promette. Se il concetto non è inedito, la Yamaha lo ha comunque espresso in maniera originale, facendo cominciare dall’alto del quarto piano il test di uno dei suoi cavalli di battaglia.
Non il più grosso della famiglia - c’è anche il TMax 500 – ma siamo già tra le taglie forti, gli scooter che in cambio di un ingombro significativo permettono di affrontare a cuor leggero lunghe percorrenze; col vantaggio che per 5 cm3 la cilindrata resta sotto il limite dei 400 e consente così un risparmio dell’ordine di 200 euro sull’assicurazione, proprio come il concorrente diretto Honda SW- T400. Guarda caso, il prezzo è esattamente lo stesso, 6.690 euro f.c., e 7.190 per la versione con ABS, questa più economica dell’Honda di 10 euro e disponibile solo con la livrea bianca.
Esisteva già dal 2004 un Majesty 400, alternativa meno costosa e più leggera al TMax; esisteva e andava piuttosto bene. Ma era giunto il momento di mettervi mano. Una ventata di rinnovamento nella carrozzeria e nelle prestazioni, dopo il primo intervento del 2006 che aveva portato all’adozione del secondo disco freno anteriore e degli ammortizzatori regolabili nel precarico. Il Majesty non è stato stravolto ma ha una faccia nuova. Resta forte il richiamo al vecchio modello ma questo è più filante, più sportivo; più adatto a un pubblico in cui negli ultimi anni i giovani sono aumentati passando dal 25 al 35% degli utenti.
Nuovi la parte anteriore dello scudo, le fiancate e gli spoiler posteriori a dare al Majesty un’aria molto accattivante, nuovo il sistema delle bocchette nel controscudo per eliminare le turbolenze dietro il parabrezza, cosa che avviene in maniera molto efficace. Sono arrivate anche nuove leve freno regolabili nella distanza dal manubrio su cinque posizioni.
Il motore non è stato toccato ma la trasmissione sì. La potenza del monocilindrico quattro valvole andava bene già così com’era, con 34 CV e quasi 150 all’ora effettivi il Majesty ha tutto quello che può servire anche volendo affrontare trasferte lunghe; c’era però una flessione della spinta in accelerazione dovuta alla curva di intervento del variatore. Dunque sono stati cambiati l’ingranaggio dell’albero intermedio - quello tra l’albero motore e la trasmissione primaria -, e poi la forma della puleggia, la cinghia e i rulli del variatore, modifiche anche alla frizione.
Adesso il Majesty lavora più su di giri perché il rapporto totale risulta leggermente accorciato ma la frizione innesta prima e il variatore lavora diversamente; il risultato è che il 400 costruito ad Iwata non si siede più nella prima fase dell’accelerazione. Non si è trasformato in un dragster ma è più pieno e più gustoso, se per un sorpasso c’è bisogno di una manata sul gas risponde a tono e con una spinta che ora è progressiva, lineare, soddisfacente.
Tempestiva la progressione del variatore, che a manopola spalancata tiene il motore tra 5.200 e 5.400 giri, fino a quando non è totalmente aperto, ed eccellente l’attacco della frizione, dolcissimo e senza strappi anche a bassa velocità. Fa molto comodo quando ci si muove nel traffico serrato, anche perché le dimensioni del Majesty 400 sono abbondanti. Pesa 220 chili in ordine di marcia ma non li dimostra, non mette mai in difficoltà perché il baricentro è veramente basso e i piedi sono vicini a terra, la sella è ad appena 760 mm dal suolo; però un motore che si calibra con precisione millimetrica e con un filo di gas contribuisce a semplificare le cose.
Comodo e un filo spaparanzato, il Majesty ha una sella morbida e avvolgente, una poltrona presidenziale su cui è bello allungarsi in autostrada sfruttando anche lo schienalino. Viaggio in prima classe, con il conforto di tanto spazio e pochi vortici, e con la seccatura di un parabrezza che distorce le immagini; la linea degli occhi passa sopra ma se si guarda vicino disturba.
Dovendo definire il Majesty con una parola sola, lo si potrebbe chiamare “morbido”. Tutto è facile, tutto è dolce. Risponde ai comandi con sincerità e non richiede un grosso sforzo; pur essendo abbastanza agile non schizza in mezzo al traffico né nei cambi di direzione, però non coglie mai di sorpresa. È lungo ma è intuitivo e si corregge bene, facile da capire e mai nervoso. Facile anche da guidare di buon passo tra le curve, senza dimenticare che insistendo nella piega si va a toccare sotto e che le sospensioni, manco a dirlo, sono morbidone.
Su buche, pavé e rotaie pochi sono allo stesso livello di comfort, morbidezza significa anche un mezzo che perdona tanto gli errori; però, se si spinge il passo, sia la forcella, sia gli ammortizzatori affondano parecchio in frenata e in curva, pur restando controllati. Equilibratissimo anche a passo d’uomo, il Majesty ha freni potenti e modulabili, l’anteriore leggermente meno tempestivo del posteriore per prevenire gli errori da panico. Assolutamente soddisfacenti.
Le finiture sono discrete ma non da urlo: plastica dispensata con abbondanza e qualche sportello che nella chiusura va accompagnato, anche se poi svolge egregiamente il suo lavoro, oppure i comandi al manubrio che sono efficientissimi e robusti ma già visti e rivisti. Bella e ben visibile la strumentazione, e abbondante lo spazio di carico: due cassetti nel controscudo e sotto la sella due spazi, ognuno per un casco integrale. Siccome sono due separati, una borsa non ci sta. Ma qui si tratta proprio di essere incontentabili...
Dati dichiarati
Prezzi: 6.690 euro f.c. Con ABS: 7.190 euro f.c.
Potenza: 34 CV a 7.000 giri/minuto
Coppia: 3,7 kgm a 6.000 giri/minuto
Peso in ordine di marcia: 220 kg. Con ABS: 223 kg
Colori: bianco, nero, antracite
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