MotoGP, Bartolini: "Voglio portare in Yamaha un po' del metodo Ducati"

MotoGP, Bartolini: "Voglio portare in Yamaha un po' del metodo Ducati"© Luca Gorini

L'intervista esclusiva al direttore tecnico: "Alla Casa di Iwata serve tempo. Ricordiamoci che anche la Rossa ha avuto bisogno di anni per vincere"

20.08.2024 ( Aggiornata il 20.08.2024 10:37 )

Bartolini, da Ducati a Yamaha


Che tipo di lavoro avete svolto in questi sette mesi?

“Abbiamo cominciato a imbastire le nuove parti della struttura. Abbiamo già fatto qualcosa di positivo. Come in tutte le cose, ci sono gli aspetti positivi e negativi, ma i primi sono maggiori”.

Qual è il risultato del quale, per ora, vai più fiero?

“Stiamo cambiando il modo di lavorare, pensare, approcciarsi alle cose, ed è ciò che richiede più tempo. L’approccio generale della Yamaha deriva da un’altra cultura, sono un po’ più conservatori, più lenti. È vero il detto che i giapponesi pensano una cosa dieci volte prima di farla, noi invece siamo il contrario. Il cambio di attitudine è la cosa che mi sembra stia funzionando di più, ed è la più importante”.

C’è una cosa su tutte che ti porti dalla Ducati?

“A parte l’esperienza, il modo di perseguire sempre, di cercare di andare più forte, di migliorare, anche attraverso piccole cose. Capire e migliorare: questo è il motore principale che spinge la Ducati in questo momento e che forse fa la differenza sugli altri”.

Cosa vuoi portare di tuo in Yamaha?

“Sono venuto con l’idea di mescolare due modalità di lavoro. La Yamaha ha una serie di cose estremamente positive, lo stesso vale per la Ducati, tra cui la velocità, la reattività, l’ingegno. Mescolando le due culture si potrebbe prendere il meglio da entrambe, con il tempo. Ricordiamo sempre che la Ducati ha avuto bisogno di diversi anni per mettersi a posto, e che partiva da una base forse più semplice rispetto a quella che c’è qui”.

Cosa intendi?

“La base meccanica della moto in sé è abbastanza buona, magari si è rimasti un po’ fermi su alcune cose. Dall’altra parte (Ducati, nde) c’era un potenziale diverso e la struttura era quasi tutta in piedi, Gigi (Dall’Igna) è stato bravissimo a indirizzarla nella direzione giusta. Senza di lui, forse, sarebbe stato impossibile”.

Senti di essere una figura storica dato che sei uno “straniero” che ricopre un ruolo finora riservato soltanto ai giapponesi?

“Non lo so, di sicuro mi rendo conto che è una cosa positiva. Per loro è stato uno sforzo grande. Dal mio punto di vista non sento una grande differenza perché le persone che fanno racing, di qualunque nazionalità siano, lavorano per lo stesso obiettivo. Non mi sento in un ambiente particolarmente diverso. Poi è vero che le aziende sono radicalmente differenti, a seconda delle due culture, estremamente diverse, ma sono stato accolto nella normalità”.

Quante volte vai in Giappone?

“Il piano iniziale era di farlo una volta al mese, fino a giugno ci sono riuscito. Sarà difficile riuscire a rispettare tale frequenza nella seconda metà della stagione. A fine anno passerò là un periodo più lungo, così come a inizio 2025”.

Che aria si respira in fabbrica?

“Premessa: un’azienda così grande non l’avevo mai vista. A Iwata sono giganti, l’ambiente racing è meno differenziato rispetto alla Ducati. A Borgo Panigale il reparto corse era il core business di tutto, la Yamaha invece è un’azienda che ha nella produzione il suo cuore, e posso assicurarvi che è spaventoso. Le corse in proporzione sono meno ‘scioccanti’ e sono molto integrate nella produzione. I giapponesi sono estremamente appassionati, quasi tutti hanno la moto, ma rispetto agli italiani sono meno innamorati delle corse”.

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