Il motomondiale compie 75 anni: una storia di moto e campioni

Il motomondiale compie 75 anni: una storia di moto e campioni© GoldandGoose\MotoGP.com

Nato nel 1949, nel suo lungo percorso il campionato del mondo (poi Motomondiale) ha scritto pagine epiche che hanno lasciato un solco nel mondo sportivo e nell'immaginario collettivo

14.06.2024 09:43

La MotoGP si appresta a compiere i suoi primi 75 anni di storia, una data estremamente significativa per un'avventura gloriosa che ha vissuto diverse epoche e che ha attraversato momenti storici particolarmente rilevanti e sempre ricchi di sfumature molto eterogenee tra loro, tanto da un punto di vista socio-culturale quanto prettamente sportivo. Una storia fatta di uomini, nella declinazione di "piloti", i quali hanno caratterizzato l'epica sportiva del motorsport, generando un'eredità che ancora oggi è tangibile, ma anche di case costruttrici che attraverso le competizioni hanno scritto la storia della cultura pop dell'Europa prima, e del mondo in un secondo (fondamentale) momento. Un percorso caratterizzato in lunga parte dai colori italiani, sia nell'accezione dei costruttori quanto dei corridori, tanto da ricoprire le più alte vette delle statistiche più importanti maturate fino ad oggi. 

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Il big bang nel 1949: Italia ed Inghilterra al comando

75 anni fa, alle ore 11 di lunedì 13 giugno 1949, sull'affascinante e successivamente storico tracciato dell'Isola di Man, veniva calato il sipario sul campionato del mondo. Il primo vincitore fu Freddie Frith, trionfante nella categoria 350 in sella alla Velocette; da quel momento, così ricco di simbologie e significati, sono stati registrati 3.392 Gran Premi, per un totale di 31 nazioni e 75 tracciati coinvolti, nonché di più di 6000 piloti partecipanti. Un anedotto dall'elevato tasso pionieristico riguarda invece il pilota neozelandese Sid Jensen, il primo pilota della storia del motomondiale a far rombare il proprio motore nella sessione di prove di un GP. Per assicurarsi il primato, nel cuore della notte precedente Jensen aveva piazzato la sua AJS 350 sulla linea del traguardo, sei ore prima dell'inizio del turno, in programma alle 5 di mattina. Mentre lui si riposava in un posto limitrofo, alcuni amici facevano la guardia alla moto. 

Sebbene la dicitura "campionato del mondo" evidenziava la matrice globale della competizione, i primi anni furono connaturati da una forte prevalenza europea, in particolar modo di Inghilterra e Italia, le due potenze riferimento nell'ambito sia dei piloti che delle case costruttrici. Il mondiale nacque, come detto, nel 1949, un anno prima della creazione della Formula 1, a dimostrazione di una comunità e di un contesto che erano già pronti da tempo ad esordire in senso mondiale. Tuttavia la seconda guerra mondiale ritardò i lavori; al termine della stagione sportiva del 1948, la Federazione Internazionale dei Club Motociclistici, istituì il campionato del mondo, rinominando in tal modo il precedente "campionato motociclistico d'Europa" (in vita dal 1924) con l'intento di attirare nuove case e nuovi piloti anche da oltreoceano.

Il campionato d'Europa venne caratterizzato in lunga parte dai piloti inglesi e da quelli italiani e la prima edizione del mondiale vide la prosecuzione di questo trend in tutte e quattro le categorie previste: 125, 250, 350, 500. Nello Pagani trionfò tra le piccole cilindrate in sella alla F.B. Mondial, la prima casa italiana a vincere un mondiale in 125. Successo tricolore a tutto tondo anche nella classe 250, in cui a imporsi fu Bruno Ruffo insieme alla Moto Guzzi. A spartirsi le categorie maggiori furono gli inglesi Freddie Frith, campione del mondo della 350 in sella alla Velocette, e Leslie Graham, primo campione del mondo della classe regina, la 500, in sella alla AJS, casa motociclistica inglese che smise di produrre moto nel 1974.

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Pilota e moto, un connubio evolutosi nel tempo

Il fascino dell'evoluzione sia fattuale che percettiva del motomondiale ha coinvolto l'equazione di base della nostra passione, ovvero il connubio tra uomo e macchina, tra pilota e moto, con tanto di progresso, scientifico, tecnologico e umano, in entrambe le accezioni. Negli anni '50 e '60, l'allenamento dei piloti era molto meno strutturato e scientifico rispetto a oggi; in molti si affidavano principalmente alla loro abilità naturale e all'esperienza accumulata in pista. L'allenamento fisico era spesso limitato e non esistevano programmi di allenamento specifici per i piloti di moto.

La preparazione consisteva principalmente in pratica e competizioni, con poca attenzione alla dieta, alla forza muscolare o alla resistenza aerobica. Un trend che con il due volte campione del mondo della 500 (1950,1952), Umberto Masetti prima, (considerato il primo "divo" del motociclismo), ma specialmente con Giacomo Agostini poi, è radicalmente cambiato, avvicinando il motorsport ad un approccio più professionale e maggiormene canonico. I piloti moderni seguono, infatti, programmi di allenamento molto rigorosi e scientificamente studiati. L'allenamento include una combinazione di esercizi cardiovascolari, allenamento di forza, flessibilità e reattività. Molti piloti adesso lavorano con personal trainer, nutrizionisti e psicologi sportivi per ottimizzare ogni aspetto della loro performance, aspetti impensabili agli albori del motomondiale. La tecnologia ha anche rivoluzionato l'allenamento, con simulatori di guida, analisi dei dati e altri strumenti avanzati che permettono ai piloti di migliorare costantemente.

In un certo senso, i piloti degli anni '50 e '60 rappresentavano l'essenza della sfida umana contro l'ignoto e il pericolo, con tutte le annesse problematicità del caso legate alla sicurezza. Erano esploratori di un nuovo mondo, affrontando l'incertezza con coraggio e determinazione. Le loro storie sono un tributo alla resilienza umana e alla volontà di spingersi oltre i limiti. I piloti moderni, invece, incarnano l'evoluzione della disciplina e della tecnica, la loro dedizione alla preparazione e all'ottimizzazione riflette il cambiamento della nostra comprensione del potenziale umano e tecnologico. Non si tratta più solo di affrontare il pericolo, ma di padroneggiare ogni aspetto della performance umana e sportiva attraverso la scienza e la tecnologia. Essi rappresentano la fusione tra uomo e macchina, in cui è evidente un cambiamento nella concezione di spettacolo, coraggio e preparazione.

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