Il campione che veniva da lontano seppe incantare con il suo stile di guida innovativo e la semplicità fuori dalla pista, dove lui e la moglie Soili costituivano l'intero team. Divenne Campione del Mondo prima di incontrare il destino assieme a Pasolini nella carambola di Monza
Non era un divo Jarno, era “soltanto” un marziano. Il primo, quando ancora non era nata la stella di Kenny Roberts, il marziano per antonomasia. Quando ancora un pilota poteva viaggiare in furgone, dormire in tenda, fare l’autista e il meccanico, accompagnato soltanto dalla moglie che gli esponeva le segnalazioni dai box, con panni stesi e motori smontati sull’asfalto del paddock. È a gente come lui che aveva pensato la Yamaha il giorno in cui aveva deciso di sospendere l’impegno ufficiale nei Gran Premi, alla fine del 1968.
Si era ritirata dalle corse come già avevano fatto Honda e Suzuki, ma aveva continuato a essere presente più che mai con le sue bicilindriche 250 e 350: il cavallo di battaglia dei privati per antonomasia, modelli che chiunque poteva comprare, semplici da tenere in ordine e soprattutto vincenti. Tanto più che dal Giappone non lesinavano pezzi speciali agli uomini migliori. Con quelle moto private si potevano vincere dei Mondiali se in sella c’era qualcuno con il pelo sullo stomaco.
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