"Ho corso dal 1976 al 2004, passando dalle puntine all'elettronica della MotoGP. Il ricordo più bello è la vittoria del 1998 al Mugello, ma posso dire di non aver sfigurato nel Mondiale a 47 anni. E dire che nell'89 volevo smettere..."
Correva l’anno 1998, l’Aprilia dominava la ottavo e la quarto di litro del Motomondiale, sia perché aveva delle moto eccezionali, nate all’interno di un reparto corse diretto magistralmente da Jan Witteveen, che perché i piloti della Casa di Noale erano autentici fuoriclasse: Valentino Rossi, Tetsuya Harada e Loris Capirossi, che quell’anno si aggiudicò il titolo della 250. Il GP Italia, al Mugello, era una gara nella gara: salire sul gradino più alto del podio era utile alla classifica mondiale ma anche al morale, soprattutto per Rossi e Capirossi, italiani in sella a moto italiane. Quell’anno però, nessuno dei piloti ufficiali provò il piacere della vittoria, ottenuta da un collaudatore di 41 anni, che era molto, molto veloce e conosceva ogni centimetro della pista toscana.
Stiamo parlando di Marcellino Lucchi, l’uomo che contribuì a sviluppare la fantastica RSW 250, e che quel giorno guidò il poker Aprilia al traguardo, precedendo Rossi, Harada e Capirossi.
Partiamo dalla fine, ovvero dal ricordo di quell’indimenticabile weekend del 1998, al Mugello.
”Bocce, motociclismo o ciclismo... poco cambia; uno sportivo ama vincere. Quella gara fu la realizzazione del mio sogno”.
Come riassumeresti la tua lunga traiettoria sportiva?
“Cominciai a correre nel 1976 e ho smesso di collaudare le moto da corsa nel 2004. Iniziai lavorando con le puntine e ho smesso mettendo a punto l’elettronica della MotoGP dell’Aprilia tricilindrica, progetto per il quale, nel 2002, avevo smesso di collaudare la 250 GP. Poi è stato chiuso il progetto tre cilindri, l’Aprilia è stata acquistata dalla Piaggio, il reparto corse è passato nelle mani di Gigi Dall’Igna, con il quale, inizialmente, non ho lavorato. In seguito, dato che agli ingegneri del reparo corse arrivavano tanti input da numerosi piloti, Dall’Igna mi ha chiamato per tre giorni di test a Valencia, dove ho provato sei-sette telai. Abbiamo trovato una buona configurazione tecnica: era un progetto ibrido, servito a 'fondere' la 250 di Witteveen e quella di Dall’Igna. Poi è arrivato Alex Debon, che ha sviluppato il progetto che tutti conoscono con la sigla RSA”.
La RSA 250 era molto diversa dalla RSW?
“La RSA era un’evoluzione della RS, una moto eccezionale che in seguito è stata migliorata anche per merito delle nuove tecniche costruttive. Il forcellone della RSW era corto e la moto tendeva a impennarsi, però non potevamo ‘giocare’ molto con la distribuzione dei pesi, perché il basamento del motore era grande. O meglio, era compatto ma, anno dopo anno, la tecnologia ha messo a disposizione degli ingegneri degli strumenti per miniaturizzare i componenti. Così è stato possibile costruire carter motore più compatti, dando più libertà a chi progettava la ciclistica. Inoltre, sulla RSA, a ogni marcia era abbinata una mappatura della centralina. In generale, c’era più elettronica”.
Qual è stata la grande delusione?
“Da tifoso della Casa di Noale, avrei tanto voluto vedere un’Aprilia sul gradino più alto del podio nell’ultimo anno in cui hanno corso le 250 GP. Invece, nel 2009, il titolo iridato è stato vinto da Hiroshi Aoyama, in sella alla Honda”.
Com’era Marcellino Lucchi pilota?
“Fino al 1989, spendevo tutti i soldi che guadagnavo per correre. Tiravo fuori tanto denaro dal portafogli e non bastava mai, però non volevo mollare, perché desideravo dimostrare di essere competitivo. Il mio obiettivo non era vincere il Mondiale; sapevo di essere capace di guidare la moto e volevo farlo capire a tutti. Purtroppo, però, io non sono mai stato bravo a chiedere una possibilità, non era nel mio carattere. Per fortuna avevo diversi amici manager che lo facevano al mio posto”.
C’è qualche ricordo che, più di altri, è impresso nella tua mente?
“Nel 1989 volevo smettere di correre ma un mio amico, un macellaio di Bologna, mi aiutò a trovare uno sponsor. In qualche modo mettemmo assieme 80 milioni di Lire, con cui bisognava comprare le moto Aprilia, il furgone, eccetera. Eravamo comunque a corto di budget, così chiamai Fabrizio Guidotti, che risolse il problema fornendomi una vecchia ciclistica, con un buon motore. Io ero pilota, meccanico, autista, cuoco... e viaggiavo con un ragazzo che mi dava una mano. Con quella moto gareggiai nell’Europeo 250. Dovetti saltare la prima gara e debuttai nella seconda, a Zolder, dove vinsi davanti a Wilco Zeelenberg. Conquistai anche altre gare quell’anno ma persi il campionato, vinto da Andrea Borgonovo. Andavo a correre prendendo le ferie dal Comune... ed ero comunque contento”.
Qual è stato il raccordo tra la carriera di pilota e quella di tester?
“Ero in buoni rapporti con l’Aprilia quando a Noale arrivò Jan Witteveen. Nel 1991 era stata progettata una moto con sospensioni a parallelogramma: si chiamava O.Z., anche se era un’Aprilia. L’esperimento non ebbe molto successo. Nel 1992, essendo a piedi, parlai con l’Aprilia, che stava sviluppando il test team, così iniziò la mia carriera di collaudatore. In quella stagione vinsi il campionato italiano in prova unica a Vallelunga dove, in sella all’Aprilia ufficiale che usavo nei collaudi, sconfissi la squadra della Gilera. In seguito ho vinto tanti altri titoli italiani. Nel 1994 ho ripreso a correre nel Mondiale, come wild card. E nel 1998, come abbiamo detto, ho vinto il GP Italia; nel 1999, sempre al Mugello, sono partito in pole position, però mi sono scontrato con Capirossi poco dopo la partenza e sono caduto.
"Anche nel 2000 andavo fortissimo al GP Italia, però mi sono steso come un pirla alla curva del Correntaio. La peggiore wild card al Mugello, però, è stata quella del 2001: sono caduto tre volte senza capire perché. Conoscevo la moto come le mie tasche eppure non funzionava. C’erano degli ingegneri assunti da poco, giovani. Ricordo di aver chiesto: ‘Cosa avete fatto a questa moto?’. Dopo aver controllato i dati mi hanno risposto: ‘Niente, abbiamo soltanto sostituito il leveraggio ma è identico a quello che abbiamo tolto’. A quel punto...”.
A quel punto... qual è stata la tua risposta?
“È stata... ‘Identico sti due ma....!’. Gli ho fatto capire che a mio avviso non era proprio identico...”.
L’ultima wild card è stata nel 2004, a 47 anni.
“A Sepang, nel GP Malesia, ho sostituto o più vicino ai 50 anni che ai 40 e correvo contro i giovanissimi! Mi sono difeso e ho messo a punto la moto. Mi ha fatto piacere sapere che Poggiali, nelle gare successive, si è trovato bene con la messa a punto che avevo fatto”.
Cosa fa oggi Marcellino Lucchi?
“Ho aperto un negozio di biciclette, altra mi grande passione. Alla mia età, e con un cuore che ha fatto il suo lavoro, ancora mi diverto, però con le MTB a pedalata assistita, che ormai hanno una ciclistica da moto: guidare in discesa è uno spasso!”.
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