Protagonista delle piccole cilindrate del Mondiale a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, era un atipico: oltre a guidare, si costruiva la moto. A Misano, nel 1989, sfiorò il trionfo nella 80, ma il campione in carica Martinez lo sconfisse grazie ai doppiati
Gabriele Gnani è nato il 17 maggio 1964, e molti dei suoi 56 anni li ha trascorsi tra la sua officina e le piste, a costruire e guidare le sue moto (rigorosamente a due tempi) con cui, ancora oggi, vince delle gare, battendo piloti molto più giovani di lui. Gnani ha l’argento vivo addosso, un’enorme passione e zero peli sulla lingua. Ascoltarlo è piacere, soprattutto quando racconta la sua vita, sia quella personale che sportiva, caratterizzata anche da un periodo in cui ha corso nel Mondiale, con buoni risultati. Il migliore? A Misano, nel 1989, nella classe 80, quando con la Gnani, il pilota-costruttore-meccanico e a volte anche cuoco, contese il successo ad Aspar Martinez... “In quella gara volevo vincere, anche perché sin dalle prove avevo capito che potevo fare bene. Lo capivo dai tempi, però non avevo la certezza assoluta del mio valore perché soltanto in gara, quando non c’è più un domani ma soltanto l’oggi, riesci a capire quanto possono spendere gli altri!”.
Misano 1982: Franco Uncini, in volo verso l'iride
Era tutto perfetto, in pratica.
“La mia moto era un missile e a Misano avevo tutte le malizie del Mondo. Sapevo addirittura quando tirava vento. Partii con il quarto tempo però non volevo mollare l’osso, quindi iniziai subito a lottare con Jorge Martinez, Herri Torrontegui e Peter Öttl. Prima di metà gara, questi ultimi due arrivarono clamorosamente lunghi alla curva del Tramonto e pensai ‘cosa stanno facendo?! Mica è fine gara!’. Per evitare problemi, decisi di passarli, perché ne avevo di più. Poco dopo, come pensavo, Öttl cadde...”.
A quel punto, tra te e la vittoria c’era soltanto un pilota!
“Sì, da metà gara in poi, lottai con Aspar Martinez e pensavo ‘Cavolo, o sta facendo l’asino, oppure posso davvero batterlo!’. Così iniziai a passarlo e a farmi ripassare, per studiarlo e a quel punto Martinez aveva capito che era una gara ‘gnara’ (molto dura, ndr). Quando mancavano due giri alla fine pensai ‘adesso lo passo e mi prendo la vittoria, a muso duro’. Arrivammo alla curva del Carro e incontrammo tre doppiati, che erano in bagarre e si toccarono mentre li stavo superando. Uno stava per cadere ma mi usò come appoggio. Non lo fece volontariamente: purtroppo non mi vide. Non caddi ma andai in mezzo alla terra. Rientrai e feci un altro giro ‘a cannone’. Sapevo che non potevo più prendere Martinez ma volevo dare il massimo fino alla fine e così fu. Purtroppo, però, arrivai secondo. Non ce l’ho con quei doppiati: gli rimprovero soltanto di non avere fatto caso alle tante bandiere blu che sventolavano”.
Era la tua gara…
“Posso garantire che avrei potuto vincere. Perché era la gara di casa mia. Perché c’erano i miei amici. Perché conoscevo tutto ed ero a posto. Quel giorno ero disposto a morire pur di vincere, perché quelle cose lì non le facevo tutti i giorni. È stata la mia gara più bella dell’89; anzi... è stata la gara più bella della mia vita!”.
Hai vinto tante gare in altri campionati. Possibile che non ci sia una corsa più bella rispetto a quella di Misano del 1989?
“In base al tipo di manifestazione, cambiavo passo. Nell’Italiano ero meno veloce. Al Mondiale ero più veloce. È difficile spiegare il perché. Sarà l’aria che respiri, che è diversa! Nelle gare dell’Italiano vincevo con del margine ma non andavo come nel Mondiale, dove le corse avevano un sapore speciale”.
Se vogliamo parlare di Mondiale, ci sarebbe un altro racconto: 1988, Nürburgring.
“Domenica... Pioggia. Tanta pioggia. Partivo dal fondo dello schieramento e non vedevo l’ora di tornare a casa. Durante la corsa, piano piano, iniziai a rimontare da solo. A un certo punto non c’era nessuno, né davanti, né dietro a me. Mi sembrava di essere in gara da una settimana. Una sensazione stranissima. Pensai addirittura di non aver visto la bandiera a scacchi! Poi, vidi una nube d’acqua, ogni giro più vicina. Erano i primi. Erano in tre e c’era anche Martinez. Feci due conti, e compresi di essere quarto. Non mi sembrava vero. Continuai a spingere, perché ero più veloce di loro, però non vedevo nulla e all’ultimo giro colpii un pilota fermo su un cordolo, era Bogdan Nikolov. Caddi, mi rialzai e arrivai comunque quarto. A fine gara il direttore mi consegnò una coppa con scritto ‘Al quarto classificato’! Mi diede quella coppa, che aveva pagato di tasca sua, dicendomi che non aveva mai visto una gara così bella e che non pensava che un pilota privato potesse andare così forte nel Mondiale”.
Per quale motivo hai iniziato a costruirti le moto?
“Soltanto perché non potevo comprare le altre. All’epoca, con le tecnologie che c’erano, farsi una moto costava meno. Già nel 1986 io usavo le valvole rotanti in fibra di carbonio mentre gli altri avevano quelle in acciaio. In 10 minuti, però, il carbonio si mangiava il carter motore. Sapevo che la ceramica era la cosa più dura che c’era, quindi andavo a comprare le piastrelle e mi ero attrezzato per limare il cotto, arrivando alla pellicola di ceramica. Le piastrelle costavano poco, quindi era un metodo economico. Per portare via il cotto, ci mettevo tre giorni ma era la mia manodopera! Mi fanno ancora male i gomiti oggi per via di quei lavori!”.
Corri ancora con le tue moto?
“Certo che corro. E vinco! Nel ‘98 avevo smesso di correre in Italia perché dovevo pagare l’iscrizione come costruttore, pilota e team. Dovevo sborsare 20 milioni soltanto per iniziare a correre. Mica ero la Honda che fa gareggiare tante moto! Io avevo soltanto la mia e non potevo pagare come la Honda. Così sono andato a correre all’estero, all’Alpe Adria e l’ho vinto una dozzina di volte in 15 anni".
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