Di recente in queste pagine si è parlato delle lavorazioni meccaniche alle quali sono sottoposti gli organi meccanici, delle finiture superficiali che si possono ottenere e delle esigenze nei diversi casi.
Basta un’occhiata per rendersi conto che anche nei pezzi che non presentano alcuna parte grezza, perché ottenuti dal pieno o destinati ai motori da competizione, possono essere ben visibili alcune differenze a livello di stato della superficie, almeno in diverse zone. Uno stesso componente può essere lucido in un caso e opaco in un altro. O magari era lucido una volta ma non più nelle versioni recenti.
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Bielle
È questo ad esempio il caso delle bielle dei motori da competizione, che una volta venivano lucidate ma che da oltre una trentina di anni a questa parte vengono pallinate. La lucidatura si effettuava perché una migliore finitura superficiale determinava una maggiore resistenza a fatica. Inoltre, agevolava l’individuazione di eventuali piccole crepe. In genere si effettuava a mano, utilizzando abrasivo finissimo e spazzole o dischi rotanti in feltro o in panno. Parti con una elevata finitura superficiale, ottenuta mediante rettifica “fine”, levigatura, lappatura o lucidatura sono tipicamente i perni dell’albero a gomiti, lo spinotto, le piste di rotolamento e i corpi volventi dei cuscinetti.
E anche le camme, che però oggi sono assai spesso dotate di un riporto superficiale antiusura o che agevola la ritenzione dell’olio). Le ricerche sul comportamento dei materiali in condizioni dinamiche sono state estese ed intense ed hanno interessato anche lo stato superficiale dei componenti. La pallinatura è un trattamento che consiste nel bombardare il pezzo con una miriade di piccole sfere.
L’azione di vero e proprio martellamento crea una serie di “impronte”, ovvero di piccoli avvallamenti ma non asportano materiale. Il risultato è uno strato superficiale in compressione grazie al quale viene aumentata la resistenza a fatica. Il trattamento, che si effettua a temperatura ambiente, viene eseguito utilizzando aria compressa per trasportare le sferette (ovvero i “pallini”) ad elevata velocità e scagliarle così contro il pezzo. Di importanza essenziale è che il processo venga eseguito in condizioni accuratamente controllate. I parametri in gioco sono svariati.
Per quanto riguarda i pallini, che di norma sono in acciaio (in genere contenente lo 0,45% di carbonio) o in vetro (contenente circa il 60% di SiO2 e usato soprattutto per pallinare il titanio), si tratta del diametro e della durezza. Fondamentali sono la quantità di pallini scagliati contro il pezzo nell’unità di tempo e la velocità del getto di aria in pressione. E inoltre la distanza dal pezzo, l’angolo di impatto e la durata del processo, ovvero il tempo di esposizione al getto.
Pallinatura
Indicativamente i pallini hanno un diametro che può andare da circa 0,10 mm a oltre 3 mm e vengono scagliati sulla superficie da trattare da un getto di aria compressa avente una velocità compresa tra circa 20 metri al secondo e oltre 130. La distanza tra l’ugello e il pezzo è dell’ordine di 10 – 50 mm e la durezza dei pallini di acciaio va da circa 42 a oltre 60 punti Rockwell. Le modalità con le quali viene effettuata la pallinatura controllata (nota anche come shot peening) variano a seconda dei casi; per ciascuno di essi devono venire accuratamente individuate quelle ottimali. Roba da specialisti, ovviamente.
L’intensità di pallinatura, legata all’energia cinetica delle sferette e alla durata del trattamento, si misura in gradi Almen e viene rilevata impiegando un apposito strumento, in condizioni standardizzate. La copertura è il rapporto percentuale tra la superficie colpita dai pallini e quella totale da colpire. Come ovvio è massima, ossia del 100%, quando non vi sono spazi tra una impronta e l’altra. La pallinatura non comporta asportazione di materiale e non va assolutamente confusa con la sabbiatura, che si esegue, utilizzando granuli a spigoli vivi, fondamentalmente per motivi estetici o per preparare un substrato adatto alla deposizione di alcuni riporti superficiali.
L’incremento della resistenza a fatica, e quindi della durata, che si ottiene grazie alla pallinatura controllata è impressionante. Per le molle delle valvole questo trattamento è assolutamente vitale. Spesso è sufficiente una sola pallinatura, seguita dal trattamento termico di distensione. Altre volte però, quando le esigenze sono maggiori (molle per motori di altissime prestazioni), possono essere necessari addirittura tre cicli di pallinatura, di durate differenti, che vengono eseguiti con diametri dei pallini decrescenti (ad esempio 0,8, 0,6 e infine 0,25 mm) e diverse velocità del getto. Un processo decisamente sofisticato, per componenti dalle caratteristiche straordinarie! Pure per le bielle da corsa lo shot peening è di importanza assolutamente fondamentale.
Le rotture a fatica hanno origine superficiale. Per allontanare il rischio che possano verificarsi è molto importante agire a livello di disegno onde eliminare gli spigoli, gli scalini e le irregolarità delle superfici che possono dare luogo a concentrazioni di stress.
Nel caso degli alberi a gomiti sono critici i raccordi tra i perni e gli spallamenti laterali (zone di collegamento ai bracci di manovella). In fase di rettifica è vitale che vengano rispettati i raggi di raccordo specificati in fase di progetto.
Rullatura
Un altro sistema per migliorare notevolmente la resistenza a fatica in tali zone è la rullatura, che si effettua deformando plasticamente il materiale utilizzando grandi rulli sotto elevata pressione. Anche in questo caso si crea uno strato superficiale in compressione.
La rullatura può anche aumentare la durezza del materiale e per questa ragione è stata impiegata in alcuni casi per realizzare teste senza sedi riportate, destinate a motori da corsa. Si otteneva così un migliore smaltimento del calore assorbito e quindi ceduto dal fungo ed era possibile montare valvole leggermente più grandi. La durata era quella che era ma nel mondo delle competizioni questa è una voce di importanza relativa.
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