Home

Motomondiale

SBK

Off Road

Pista

Mondo Racing

The Test

Foto

Motosprint

LIVE

Tecnica: Moto2 Vs. 250GP, cambio università

Nel Mondiale GP le 250 a due tempi sono uscite di scena al termine della stagione 2009 per essere sostituite l’anno successivo dalle Moto2. Anche in questo caso, come già accaduto per le MotoGP, che avevano da alcuni anni preso il posto delle 500, si passava dai motori a due tempi a quelli a quattro. Questa scelta della FIM fu atta a rendere le moto da competizione analoghe come tipo di motore a quelle che venivano prodotte in serie, destinate alla normale circolazione stradale. Se queste ultime erano ormai praticamente tutte a quattro tempi, appariva logico che lo fossero anche le moto da competizione.

La scelta dei costruttori di orientarsi soltanto sui 4T (le uniche eccezioni erano i ciclomotori e alcune moto da fuoristrada) era dettata dalla necessità di rientrare nei limiti di legge in fatto di emissioni di scarico, stabiliti per ragioni ecologiche e diventati sempre più severi nel corso degli anni. Soltanto l’iniezione diretta avrebbe potuto salvare i due tempi ma sembra che nessun costruttore si sia impegnato seriamente in questa direzione, almeno per quanto riguarda i modelli con cilindrata superiore a 125 cm3. Anche perché, eliminato in tal modo il problema delle emissioni di carburante incombusto allo scarico, rimaneva quello della lubrificazione a tutta perdita.

Insomma, ormai i grandi costruttori non credevano più nei 2T. E del resto era dagli anni Ottanta che non uscivano più nuovi modelli di media cilindrata (lasciamo stare quelli più grandi) con tale tipo di motore. Secondo la Federazione ci sarebbero stati anche vantaggi di ordine economico, perché il nuovo regolamento prevedeva che le Moto2 venissero azionate da motori non da corsa ma di serie, debitamente preparati, e uguali per tutti. La scelta è dapprima caduta sui quadricilindrici Honda CBR600RR, impiegati fino al 2018 e in seguito sui Triumph tricilindrici di 765 cm3. La potenza disponibile è passata in questo modo da 130 a 140 cavalli (contro i circa 100 CV delle ultime 250 da GP).

La 250 era stata a lungo la classe di maggiore importanza del Motomondiale dopo la 500 e aveva vissuto autentiche epoche d’oro, che avevano visto come protagoniste moto di straordinario significato tecnico. Quelle a due tempi, fortemente cresciute come prestazioni durante gli anni Sessanta, avevano definitivamente preso il posto di quelle a quattro tempi a partire dal 1970. Da allora in poi, per via del regolamento che non ammetteva un frazionamento più spinto, i motori sono sempre stati bicilindrici. Grandi protagoniste della scena sono state per molti anni, anche quando non vincevano, le Yamaha TZ, la cui evoluzione può essere considerata una delle più interessanti e significative nell’intera storia del motore a due tempi, al punto che sembra opportuno riassumerla brevemente.

Nata nel 1973 come discendente dalla precedente TD, la Yamaha TZ aveva misure caratteristiche quadre (54 x 54 mm), raffreddamento ad acqua e una potenza di 51 CV a 10.500 giri/min. L’aspirazione controllata dal pistone ha continuato a essere impiegata fino al 1984. In seguito la TZ è passata all’ammissione lamellare e non a quella controllata da disco rotante, che pure la Casa giapponese aveva impiegato con grande successo sulle sue leggendarie moto da GP degli anni Sessanta.

Le misure di alesaggio e corsa sono cambiate nel 1981 con la versione H, quando sono diventate 56 x 50,7 mm e il motore è stato profondamente rivisitato, con adozione di valvole allo scarico del tipo ad aletta fulcrata e con il moto che veniva trasmesso al cambio tramite un albero ausiliario. Quest’ultimo veniva azionato da un ingranaggio ricavato nel manicotto che univa le due parti nella quali era realizzato l’albero a gomiti (che ora ovviamente ruotava al contrario).

La potenza era di 57 CV a 11.000 giri/min. Nel 1988 l’aspirazione è stata spostata anteriormente e nel 1991, seguendo le orme della Honda, l’architettura del motore è diventata a V (di 90°). L’albero a gomiti ora girava in avanti dato che trasmetteva il moto direttamente alla frizione (niente più albero intermedio, quindi!). La potenza era di oltre 70 cavalli. L’evoluzione ha portato le bicilindriche Yamaha a superare gli 80 CV attorno alla metà degli anni Novanta. Nel 2000 il motore è tornato a misure caratteristiche quadre e la potenza è arrivata a 92 CV a 12.250 giri/min

Dopo un’assenza di 18 anni, invece, la Honda era tornata alla classe 250 nel 1985 e in 25 anni ha conquistato 11 titoli mondiali. La moto che le ha permesso di ottenere questi risultati era una bicilindrica a V con ammissione lamellare realizzata sia in versione “casa” che in versione leggermente meno evoluta, destinata ai piloti privati (una politica analoga è stata seguita sia dalla Yamaha che dall’Aprilia). Nel 1992 la RS250RW, nota anche come NSR 250, erogava circa 85 CV a 12.800 giri/min. Nella seconda metà degli anni Novanta sono stati superati i 90 CV. La Honda che nel 2009 ha vinto l’ultimo mondiale 250 disponeva di un centinaio di cavalli. Pure la KTM, entrata in scena sul finire dell’era delle 250 a due tempi, aveva una potenza analoga e disponeva di aspirazione lamellare. L’architettura del suo motore era però a cilindri paralleli. Come nella classe 125, anche qui si è avuta una formidabile lotta per la supremazia tra i motori con ammissione lamellare e quelli a disco rotante. Il risultato è stato di parità, dato che tra il 1990 e il 1999 ciascuno dei due tipi di aspirazione ha conquistato cinque mondiali piloti, e lo stesso è avvenuto nei dieci anni successivi.

Moto2, quanto dista la MotoGP?

Sul finire degli anni Settanta per quattro stagioni consecutive il mondiale 250 era stato conquistato dalla Kawasaki con le sue formidabili KR dotate di cilindri in tandem. Tale architettura era stata adottata per limitare l’ingombro in larghezza, decisamente elevato nei motori a due cilindri paralleli con questo tipo di ammissione, che comporta l’installazione di un carburatore a ogni lato del basamento. Con la disposizione in tandem i cilindri sono collocati uno davanti all’altro e i due carburatori sono posti dallo stesso lato. L’ingombro trasversale è quello di un monocilindrico, ma quello longitudinale è considerevolmente superiore. Già la MZ aveva pensato a questa architettura nel 1969 ma a portarla veramente alla ribalta è stata la Kawasaki dei titoli vinti ininterrottamente tra 1978 e 1981.

Lo stesso schema è stato adottato dalla Rotax nel motore “tipo 256” apparso all’inizio degli anni Ottanta. Tale bicilindrico è stato impiegato dall’Aprilia nei suoi primissimi anni di impegno nel Mondiale. A partire dal 1988, la Casa veneta ha utilizzato un’architettura che prevedeva due cilindri disposti a V di 90° e montati su di uno stesso basamento, con i due alberi a gomito in presa tra loro (e quindi controrotanti); quello anteriore era in presa anche con la corona della trasmissione primaria. Questo motore è stato oggetto di una lunga e intensa evoluzione che ha portato la potenza dai 78 CV del 1989 ai 90 del 1994 (anno del primo Mondiale); i fatidici 100 CV (a circa 13.000 giri/min) sono stati raggiunti e leggermente superati attorno al 2005-2006. Le misure caratteristiche sono sempre rimaste 54 x 54,5 mm.

I principali problemi di ordine meccanico che le due tempi da GP hanno dovuto affrontare, per via dell’incremento di prestazioni avvenuto nel corso degli anni, hanno riguardato i cuscinetti di biella, sempre più sollecitati e costretti a lavorare in condizioni di lubrificazione tutt’altro che ottimali. Più seri sono stati, tutto sommato, i problemi causati dalle sollecitazioni termiche. Per conoscerle si fa riferimento alla potenza specifica areale, che si esprime in cavalli per unità di superficie dei pistoni. Sono proprio questi ultimi i componenti più critici. Nei motori 2T da corsa delle ultime generazioni i pistoni vengono sostituiti in base non alla loro usura ma al tempo di funzionamento, onde evitare cedimenti dovuti alla fatica termica. E questo senza che si verifichi la detonazione incipiente, nel qual caso il momento di cambiare i pistoni viene stabilito in base alle informazioni fornite dal cosiddetto “contabattiti”. La potenza specifica areale degli ultimi motori a due tempi da Gran Premio è arrivata a superare i 2,15 CV/cm2, valore pressoché doppio rispetto a quello raggiunto dalle MotoGP.

Dal punto di vista tecnico non c’è molto da dire sui motori delle Moto2. Sono quelli di moto sportive di serie, elaborati in maniera non particolarmente spinta, onde poter essere impiegati per più gare e sempre con la massima affidabilità. Le loro potenze specifiche sono molto elevate ma non impressionanti: 216 CV/litro nel caso della quadricilindrica Honda di 600 cm3 e 183 in quello della tricilindrica Triumph di 765 cm3. Il rapporto corsa/alesaggio è pari rispettivamente a 0,634 (valore comune a tutte le 600 quadricilindriche) e a 0,685. 

Gli schemi costruttivi adottati riflettono l’odierno stato dell’arte nel settore dei motori a quattro tempi di elevata potenza specifica. Quelle impiegate sono dunque soluzioni standardizzate ormai da tempo. In effetti negli ultimi anni lo sviluppo in questo settore si è avuto principalmente a livello di dettaglio. Gli angoli tra le valvole sono quelli di vent’anni fa, la distribuzione è sempre a quattro valvole per cilindro comandate da due alberi a camme. L’albero a gomiti è in un sol pezzo e lavora interamente su bronzine. In diversi casi il cappello di biella viene fissato con viti mordenti e non passanti come in precedenza, ma questo non cambia molto le cose...

Insomma, vengono impiegate le soluzioni più razionali, ma ciò determina una grande uniformità. I tecnici hanno lavorato da un lato per migliorare ulteriormente quello che era già molto buono, puntando sia a un incremento delle prestazioni, ove possibile, che al mantenimento di durata e affidabilità, e dall’altro ad aumentare la compattezza. Pregio di grande importanza per quanto riguarda la centralizzazione delle masse e quindi il comportamento in pista e su strada della moto.

Tecnica: Moto3 Vs. 125GP, le piccole pesti del Motomondiale